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In una intervista esclusiva rilasciata al Corriere dello Sport, Il Ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi ha discusso del futuro della Figc, della situazione del Coni, del ruolo di Giorgetti, dell'influenza di Lotito e della relazione tra il Governo e il mondo del calcio.

Di seguito l'intervista completa:

Il Ministro per lo sport che va in vacanza durante le Olimpiadi è una contraddizione in termini.
 

«Sono stato a Parigi una settimana, inoltre devo rispettare i tempi del Parlamento».

Sensazioni olimpiche?


«Il fascino esercitato da un enorme impianto sportivo a cielo aperto. Per l’esattezza, i Giochi sono concentrati nel centro di una città già splendida di suo, ma se soltanto ci si allontana da quella zona si trova la Parigi di sempre. Dal punto di vista sociale questo straordinario evento, anziché ridurre le distanze, le ha addirittura aumentate. Numerose gare si svolgono in luoghi iconici, è un’edizione che non lascerà eredità. Parigi non aveva certamente bisogno di iniezioni impiantistiche poiché è all’avanguardia. Tuttavia, una volta smontato il tendone, non resterà nulla di utilizzabile dalle periferie. Playground e altro, intendo. Del resto l’input del Cio era evitare gli sprechi, e la bandiera della sostenibilità è continuamente sventolata dagli organizzatori. Immagino che Parigi 2024 aprirà solo a nuove candidature... Dei Giochi io continuo ad avere un’idea diversa: i venti giorni dovrebbero essere una piattaforma di lancio, o rilancio, infrastrutturale e sociale, per produrre sviluppo, crescita, benessere».

Per Macron tutto si può risolvere con un bel tuffo nella Senna apparentemente bonificata.
 

«Un miliardo e mezzo hanno speso. L’altro giorno ho fatto una battuta dicendo che, osservando la Senna, non mi era sembrata tanto diversa dal Tevere».

Nel quale lei non si tufferebbe mai.
 

«Nel Tevere ci sono finito una ventina di anni fa. Caduto dal canoino, per fortuna era d’estate e il fiume era tranquillo».

In che zona la ripescarono?
 

«Ero dalle parti del Ministero della Marina, feci tutto incoscientemente, ma da solo. Ripresi il remo, girai il canoino e ripartii».

A Parigi vinciamo medaglie ma il clima interfederale è sempre pesante, ostilità diffuse.
 

«A cosa o chi ti riferisci?».

Binaghi, ad esempio, non ha gradito il comportamento del presidente del Coni Malagò che si è complimentato con i tennisti solo sui social.
 

«Differenti sensibilità e posizioni storicamente divergenti».

Quand’era dirigente federale come giudicava gli interventi della politica nello sport?
 

«La politica trova spazio dove lo sport glielo lascia. L’autonomia deve sempre contemplare contenuti. Io vorrei dare un senso a questo mio passaggio, ho quarant’anni di esperienza e il dovere di fare, anche toccando frammenti di autonomia altrui. Evitando sempre - sia chiaro - le invasioni di campo. Le prime righe dell’emendamento Mulé lo confermano: “Nel rispetto degli statuti delle federazioni di riferimento al fine di garantire una adeguata rappresentanza nei sistemi federali di cui al presente articolo… eccetera». Più rispettoso di così! Poi che il calcio, lo sport dia visibilità è un fatto, naturale che risulti un territorio interessante».

Quando dopo gli Europei disse, e in seguito lo ripeté, di essere «rimasto sorpreso dalla ricerca di responsabilità altrui» e che «proprio lo sport insegna ad assumersi responsabilità» inseguiva l’autocritica pubblica o, più semplicemente, chiedeva la testa di qualcuno?
 

«Rispondo così: alle parole seguono i fatti. Mancati le une e gli altri. M’era sembrato che nessuno si fosse messo in discussione, come se fossimo usciti dal torneo per una serie di circostanze sfavorevoli».

«Le dimissioni di un uomo non cambiano le cose nel sistema». Sono parole sue. Di un anno e mezzo fa.
 

«Le confermo. Però quando non fui eletto mi dimisi e avevo un mandato di quattro anni, rinunciai all’ultimo e restai senza lavoro, né consulenze o altro. Anche economicamente non fu una passeggiata di salute».

Come finirà la partita del calcio?
 

«Dipende da una serie di fattori».

Anche dal campo? Dalla Nations League, intendo?
 

«Dagli equilibri delle Leghe. Gravina ha detto a me che intende fare un passo indietro, ma vuole essere libero di decidere, non accetta imposizioni e soprattutto vuole prima capire in che mani lascia la Federcalcio. È comprensibile. Nelle contrapposizioni palesi nessuno lascia spazio all’altro. Quello che realmente conta è il benessere del sistema, serve una visione più ampia e complessiva. Non si può sempre aspettare che le cose succedano, a volte bisogna farle succedere. La formula “fin che la barca va lasciala andare” non funziona».

Si dice che dietro l’attivismo dell’onorevole Mulé ci fossero Giorgetti da una parte e Lotito dall’altra.
 

«Assolutamente no. Giorgetti è un uomo di notevoli cautele, non c’entra nulla con tutto questo, ha altro a cui pensare. Lotito? Avere posizioni diverse fa parte del gioco. In Parlamento sono presenti un presidente e un amministratore delegato di società, circostanze che possono verificarsi. Lotito esercita le sue funzioni in un certo modo internamente e esternamente, Galliani in un altro sia dentro sia fuori».

Lei da che parte sta? È di ostacolo a Gravina?
 

«Né ostacolo, né avversario proprio per il ruolo che ricopro. Vorrei aiutare a portare soluzioni».

Per questo sta riscrivendo la legge Melandri.
 

«La vecchia stesura non regge più, le cose sono cambiate e si è reso necessario un aggiornamento sostanziale per dare un assetto stabile al sistema. Mutualità, diritti tv, tutto va attualizzato».

Ministro, il Governo vuole prendersi anche il calcio?
 

«Assolutamente no! L’obiettivo del Governo, collaborando con il Parlamento, è di creare le condizioni per facilitare una indispensabile e indifferibile stagione di riforme nel calcio e, in generale, nello sport, per rendere il nostro sistema più credibile, competitivo e sostenibile. L’autonomia nello sport è un valore da rispettare, ma il modo più efficace per difendere l’autonomia, comunque relativa e non assoluta, dipende dalla capacità dello sport, e quindi anche del calcio, di non essere autoreferenziale, di rispettare a ogni livello i suoi valori e di saper svolgere efficacemente la sua funzione, anche sociale e culturale. Il Governo darà ogni supporto a questa prospettiva, nel rispetto dei ruoli, e non sarà mai complice dell’inerzia e del Gattopardo. Tutto questo al di là delle vittorie e delle sconfitte sportive».

Alé. E Malagò è in uscita nonostante i successi olimpici?
 

«Le norme dicono che i mandati, negli enti pubblici, possono essere al massimo tre. Malagò è alla fine di un percorso».

Fare il ministro in questa fase la diverte?
 

«Più che divertente, è stimolante, ho anche i giovani e grosse responsabilità e voglia di fare».

Se le dico poltrona?
 

«Dalla poltrona ci si deve anche alzare, la sedentarietà diventa un habitat mentale, uno schema di pensiero che alla lunga può produrre solo danni».

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