Il paradosso di un Mago: sparire e riapparire come d’incanto. Bentornato torero, Luis Alberto: per un tempo gioca da fermo, forse è il peggiore in campo, poi stende due tappeti rossi, ribalta il suo giudizio e le sorti della Lazio. Quanto è mancato: era stato decisivo solo con un misero servizio (nel successo contro il Lecce, guarda caso) in questo 2024, la penultima volta era finito nel tabellino con un gol addirittura il 21 ottobre nella trasferta col Sassuolo. Solo i suoi lampi possono riaccendere la luce Champions. Croce e delizia, questo spagnolo, di cui ormai Sarri prende solo il buono. Sempre in campo (28 volte titolare su 30 presenze), sia pure sotto tono, perché alla fine è dura rinunciare al suo talento. Persino Lotito (vedi il rinnovo), i compagni (nonostante i soliti mugugni estivi sul prolungamento e poi l’auto-ammutinamento), i tifosi, ogni volta che rivedono i suoi giochi di prestigio, dimenticano i palloni persi, il piccolo trotto, e gli perdonano tutto. Dopo otto anni, chiunque ha accettato i pregi e i difetti di questo numero 10 estroso, ciondolante ma così fatato. Dal suo esordio (2016/17), nessuno ha fatto meglio del Mago, primo nella classifica degli assist a quota 59 – davanti a Berardi fermo a 56 – nel campionato italiano. A Firenze potrebbe toccare la cifra tonda con il sesto in questa edizione, anche se la Spagna continua a ignorarlo. Forse è sempre colpa di quel caratterino pepato, bisbetico, indisciplinato. Ovviamente giovedì sera, quando è uscito con la Lazio in 10, non lo ha nascosto: «Perché proprio io?». 

La sregolatezza si accompagna a questo genio, a cui però la Lazio e Sarri devono fare un monumento per essere tornati a -5 dal quarto posto. Due assist da Champions, due gol di Guendouzi e Cataldi all’angolino. Tutto il centrocampo nella ripresa sale in paradiso dopo un primo da incubo. In realtà Mattéo si conferma sempre un’ancora di salvataggio, al di là del centro (il secondo) decisivo. È ovunque, è linfa il suo dinamismo. Non sarà Milinkovic, né Frattesi o Zielinski che Sarri avrebbe voluto in quel ruolo, ma magari è meglio di quel Wieffer del Feyenoord a cui è stato preferito ad agosto: ora si può considerare senz’altro l’acquisto più azzeccato della campagna estiva della Lazio. Ringhia in campo, è un leader nello spogliatoio, trascina tutto il gruppo nonostante sia appena arrivato. È il terzo giocatore più utilizzato dell’organico, lunedì centrerà la ventesima presenza da titolare in campionato (considerando anche le Coppe, la 26esima nelle ultime 29) di seguito. Ossigeno puro. Meno male che le fatiche non sembrano intaccarne il fiato né il rendimento.

Adesso va però fatto un applauso anche a chi è meno sponsorizzato. Cataldi si è ripreso la regia e anche un gol strepitoso, 886 giorni e 76 gare dopo. Non segnava dal 19 settembre 2021, era stato scavalcato da Rovella e Vecino nel suo ruolo. Nel momento del bisogno, è tornato il cuore biancoceleste di Danilo, in delirio sotto il settore Ospiti dell’Olimpico. Non solo, si diceva che il playmaker romano non fosse in grado di reggere oltre il 60’: ha giocato 270’ nelle ultime tre gare di fila contro Bayern, Bologna e Torino, senza dimenticare Cagliari in cui è uscito al 78’. Cataldi non ha detto mezza parola quando per mesi è finito nel dimenticatoio, è sempre rimasto fedele a Sarri e si è ripreso il suo posto. Al Franchi rischiano di non esserci ancora Rovella e Vecino ma, al di là dell’infermeria, guai a toccarglielo. 

Il Messaggero

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Il Messaggero| Una Lazio meno bella, ma più cinica. La rivoluzione di Sarri per ritrovare il gol