Sembrava ai margini del progetto in una stagione in cui sono state totalmente stravolte le abitudine di Formello: cambio in panchina, variazione di modulo; una vera e propria annata di rifondazione, nella quale però, in fin dei conti, si sapeva non sarebbe mancato l’apporto del senatore Stefan Radu. 

Un capitano senza fascia (che lui stesso ha preferito rifiutare) e sarà per via del ruolo che ricopre anche in campo ma da sempre “gioca” in difesa della Lazio, dei suoi colori, della sua tradizione e dei sui sostenitori. 

Numerose le occasioni in cui è sembrato lui stesso un tifoso; emblematica, tra le tante, la scena del romeno all’Allianz Stadium di Torino: è il 14 ottobre del 2017, la Lazio affronta una delle trasferte più difficili in un campo in cui nessuno riusciva a vincere. Dopo il gol iniziale di Douglas Costa i capitolini rimontano con la doppietta del solito Immobile, che prima batte Buffon su azione e poi dal dischetto; quando la gara sembra ormai indirizzata sull’1-2, arriva il fallo in area di Patric su Bernardeschi che Mazzoleni concede con l’aiuto del Var. Sulla palla va Dybala, reduce da un errore dai 16 metri nella giornata precedente. Tutto si riapre oltre il 90’ con i laziali ormai rassegnati al pari, ma Strakosha intuisce l’angolino e neutralizza l’argentino. I biancocelesti riescono quindi ad ottenere il successo negli ultimissimi istanti della gara. Istanti sembrati interminabili ai laziali in campo, a quelli sugli spati, a chi seguiva da casa…e a Radu, che inginocchiato e con le mani giunte, chiude gli occhi in segno di speranza, quella che invocava tutto il popolo laziale. Cos’è quindi la lazialità? Radu può spiegarla con facilità, sembra averla innata. 

In questa stagione, dopo tre mesi nell’ombra (fino a novembre soltanto 90’ in campo, da difensore centrale) e a quasi 36 anni, ha scalato le gerarchie del “nuovo” tecnico, togliendo perfino il posto ad uno dei fedelissimi di mister Sarri, come Hysaj. Dalla panchina è tornato un titolare inamovibile, considerando che da dicembre a febbraio ha collezionato 8 presenze (432 minuti), soprattutto da terzino sinistro. Da evidenziare anche che nelle gare contro Salernitana, Udinese ed Atalanta era indisponibile. Ha quindi saputo riadattarsi, con successo, da terzino sinistro appunto, nella difesa a 4 dopo anni di linea a 3. 

In ordine cronologico l’ultima partita disputata dal primo minuto è stata quella di Cagliari, in cui il veterano laziale ha portato a casa un’ottima prova, sicuramente una delle migliori: dalle sue parti si affacciavano Bellanova e Gaston Pereiro che non lo hanno mai messo in difficoltà, tanto da riuscire ad uscire sistematicamente con la palla fra i piedi. Nel match contro i sardi i numeri confermano il rendimento: è stato il calciatore che ha corso di più con 12,5 km; per lui 7 recuperi e 7 palloni giocati in avanti, quest’ultimi che evidenziamo la propensione all’attacco chiesta dal tecnico, alla quale la squadra si sta provando ad adattare.

E se è vero che la difesa della Lazio è da rifondare, considerando che a fine stagione potrebbero salutare i suoi compagni di reparto Luiz Felipe e Patric insieme al portiere Strakosha, lui con molta probabilità prolungherà per un altro anno.

Quando c’è da sposare una causa, risponde sempre presente: per abilità ed attaccamento alla maglia, il Boss si è ripreso la scena. E guai a fermarlo: viaggiava verso la riconferma anche nella sfida di domani, in programma all’Olimpico contro il Venezia, ma un fastidio al tallone potrebbe fermarlo; le sue condizioni verranno valutate continuamente in queste ore. Ad ogni modo, è nella Capitale dal 2008 e detiene il maggior numero di presenze con la maglia della Lazio, un record che certamente vuole incrementare ancora. 

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