Amarildo: "Sono fortemente legato alla Lazio, spero di tornare in Italia e collaborare con il club"
L'ex biancoceleste Amarildo Souza do Amaral, uno dei giocatori ancora amati dal popolo laziale, in un'intervista rilasciata a Tuttomercatoweb, racconta il suo grande amore per la Lazio, ricordando il suo passato da giocatore, parlando del suo presente e di quelli che sono i progetti ai quali sta pensando.
Cosa fa oggi Amarildo?
"Appena finito ho comprato terreni per farci una scuola calcio il Centro Sportivo Amarildo. Oggi c'è un complesso residenziale con tre palazzi, che si chiama Parque Lazio. Io ho alcuni appartamenti e un negozio. Il calcio è sempre nel mio presente: alleno nelle categorie giovanili e faccio parte di alcuni progetti, ad esempio mi capita di portare le squadre brasiliani ai tornei giovanili in Europa".
Parque Lazio rimanda subito alla tua esperienza in biancoceleste
"Ho giocato solo un anno ma ne sono orgoglioso e sono fortemente legato a questi colori. Ancora oggi attraverso i social ho modo di essere in contatto con tanti amici laziali. Io ho girato tanto in carriera, ho giocato per 17 squadre diverse ma solo 4 mi sono rimaste nel cuore: Internacional, Celta, Sao Paulo e, per l'appunto, la Lazio".
Perché la Lazio è speciale?
"Intanto per i colori. Da bambino giocavo a Curitiba nel Pinheiros. Avevo 13 anni e quella maglia era azzurra più scura, ma la mia voglia era di giocare nel Cruzeiro, anch'esso azzurro. Non potrò coronare questo desiderio, però finisco in Europa: mi compra il Celta che ha la maglia celeste. Segno tanti gol e mi lego a questi colori. E poi ecco la Lazio: segno 13 gol, di cui 8 in campionato e ho avuto l'onore di giocare nell'anno in cui la squadra disputava le sue partite al Flaminio, un campo speciale per ogni laziale. La tifoseria mi ha sempre fatto sentire amato, tanto che oggi ancora mi mandano dei video in cui dalla curva cantavano il mio nome. Stupendo".
Il tuo essere globetrotter ti ha portato ad avere una famiglia internazionale
"Ho una figlia nata a Vigo, una a Cesena, uno a Porto e uno in Brasile: una storia unica. La mia figlia Giuliana nata a Cesena mi ha reso nonno di Caterina e ora andranno a vivere in Italia. Ed è anche un mio progetto, quello di tornare. Mi piacerebbe molto collaborare con la Lazio".
Sei il primo Atleta di Cristo in Serie A, all'epoca una novità assoluta
"Sono una persona credente, la Bibbia fa parte della mia vita. Mio papà era un pastore evangelico, sono cresciuto in questa famiglia. Quando avevo 12 anni mio papà è morto e ho iniziato a lavorare vendendo frutta, aiutando i meccanici e a 18 anni sono diventato un calciatore professionista. Ho imparato subito che per avere una relazione con Dio dovevo leggere la Bibbia e questo mi dà tanta gioia".
C'è un episodio specifico che ti ha portato ad essere credente?
"Quando avevo 19 anni e facevo il calciatore al Botafogo vissi un periodo difficile, perché mancavano i soldi. Conobbi in quel periodo una ragazza molto bella e me ne innamorai, tanto da pensare di mollare il calcio, sposarmi e fare altro. Andammo a Copacabana, feci un tuffo nel mare quando la corrente mi portò via, molto lontano. Sono andato giù una volta, due volte, tre volte. Ho pregato Dio e gli ho promesso di portare la sua parola attraverso il calcio, se solo mi avesse salvato. È uscita una persona col surf, mi ha preso e mi ha portato su, portandomi a riva. Appena mi sono girato non c'era più e non l'ho più rivisto. Ho capito che era un miracolo".
In Serie A eri noto per regalare la Bibbia ai giocatori
"Era un modo per far conoscere alla gente che io credevo in un Dio che ha cambiato la mia vita. Ero un ragazzino molto povero e sono diventato calciatore professionista, parlo 4 lingue. La Bibbia era la mia amica e la portavo nello spogliatoio".
Il mondo del calcio è spesso distante alla fede. Come reagivano i giocatori?
"Per qualcuno era una cosa strana, ma devo dire che ci sono degli episodi che mi hanno riempito d'orgoglio. Quand'ero al Celta ho regalato la Bibbia a un giocatore del Logroñés, di nome Abadía. Quando torno in Spagna finisco a giocare proprio nel Logroñés. Mi si avvicina un ragazzo dicendomi di aver ricevuto la bibbia da un calciatore ateo - Abadía, per l'appunto - e che grazie a me è cambiata la vita. Ma anche con un giornalista è successo un fatto incredibile".
Quale?
"Era il 2018 e mi trovavo a Forlì per la cittadinanza italiana di mia moglie. Mi chiama un giornalista che segue la Lazio per chiedermi di raggiungerlo a Roma per un intervento radiofonico. Quando mi vede mi abbraccia e mi racconta una storia di quando era bambino, legata a me: era il 1989 ed era andato a vedere Lazio-Napoli con suo padre. Gli chiede perché io regalassi la Bibbia agli altri giocatori e il padre, persona saggia, gli rispose: Amarildo è un cristiano e per dimostrare la sua fede regala la bibbia. Non appena si gira io segno ed esulto dirigendomi verso di lui. Quel giorno quel bambino promette a sé stesso che un giorno, se il mio Dio esiste davvero, mi avrebbe abbracciato. E così è stato".
Il tuo nome è legato anche all'espulsione per la testata a Manfredonia
"Alla vigilia della partita diedi la bibbia a Tempestilli. La domenica mattina esce sui giornali questa storia, il titolo: 'Amarildo regala la bibbia a Tempestilli: derby della pace'. Entro in campo, Manfredonia mi provoca, inizia a dirmi: 'Qui non c'è Dio'. Ho aspettato finché ho potuto, poi ho chiesto a Dio 5 minuti per dargli una lezione. Ma ho fatto solo il gesto di dargli la testata, lo volevo semplicemente spaventare".
Momento più bello in biancoceleste e in carriera?
"Senza dubbio la doppietta al Napoli primo in classifica e imbattuto. E un altra partita importante nella mia carriera l'ho fatta con la maglia del Celta Vigo, segnando due reti al Real Madrid e ponendo fine anche lì alla loro imbattibilità. Il giorno dopo mi chiama Calleri per portarmi alla Lazio".
Progetti futuri?
"Ora sto scrivendo un libro, una biografia di quando ho cominciato a giocare. E come detto, sono pronto a tornare in Italia".