Il Messaggero | Lazio, su la testa: in estate sarà rivoluzione
Domenica da incubo, rullino nero e l’ultima terribile foto-ricordo. C’è solo la faccia di Pedro sotto la Nord perché forse lo spagnolo non sente il richiamo di capitan Immoile a “nascondersi” insieme ai compagni, capo chino, dentro lo spogliatoio «perché abbiamo fatto schifo». Ciro è furioso, poi fa l’antidoping e parte tutto solo per Coverciano. A Roma il giorno dopo è quello del giudizio ancora più impietoso. «Vergognatevi per lo spettacolo indegno. Ma quali scuse, ridateci 40 euro», è il tam tam su social e radio. Stavolta il derby rischia di rappresentare un punto di non ritorno: è davvero la fine di un ciclo? Di sicuro è il segno lampante che quello legato a Inzaghi ha fatto il suo corso. Eppure giocano contro la Roma tre titolari (su 5, peggio di de Vrij nello scontro diretto con l’Inter per la Champions) che andranno via a parametro zero e altri - Acerbi e Lazzari più i campioni Milinkovic e Luis Alberto - che sono ai titoli di coda per un motivo o per un altro. Dopo le ultime vittorie, biancocelesti spocchiosi al fischio d’inizio, dopo 56 secondi sbiaditi e in silenzio, e tutti con lo sguardo perso nel vuoto nel discorso tecnico all’intervallo nello spogliatoio. Sarri domenica sera era deluso, ieri ancora più scuro in volto. Innanzitutto con se stesso per non aver caricato a dovere il gruppo. La scorsa settimana aveva smorzato la tensione - e anche un litigio con Luis Alberto - perché pensava che la stracittadina portasse da sé le motivazioni, figuriamoci per giocatori che vivono nella capitale almeno da un quinquennio. Invece, la superficialità nell’approccio e l’assenza di reazione (persino sul rigore su Milinkovic, tanto contestato) rendono la disfatta un autentico capitombolo e gettano inquietanti ombre sulle prossime otto gare di campionato prima ancora del futuro. Bisogna scongiurare innanzitutto il contraccolpo.
IL PATTO TRADITO - L’ ultima speranza di Sarri era legata al patto stretto a gennaio. Senza mercato, il tecnico sembrava aver superato con il gruppo unito i limiti della Lazio. Adesso si sente tradito, non più solo da Tare e Lotito. Qualcuno gli contesta l’assenza di vittorie senza il bel gioco, qualcun altro la scelta di Hysaj dall’inizio. Forse dimentica la squalifica di Zaccagni e il motivo del mancato utilizzo di Lazzari in principio: «Dobbiamo decidere se spararci tutte le cartucce subito o nel secondo tempo», aveva tuonato alla vigilia, dicendo tutto. Il terzino era l’unica arma, non esistono altri ricambi di lusso in questo organico. Gli applausi al baby Luka Romero vanno per l’ardore messo in campo, ma non può essere certo un 17enne (sia pure convocato da Scaloni) a risolvere i problemi della Lazio. Né Cabral o Kamenovic, invisibili tesserati in inverno.
MAURIZIO O TARE - Le colpe sono di tutti, ma ora riemergono le divisioni all’interno. Come vi avevamo anticipato, la società ha dato appuntamento a Sarri - per parlare di mercato e rinnovo - dopo la sosta e soprattutto dopo l’approvazione del bilancio. L’indice di liquidità pesa come un macigno, ma ciò che più spaventa e allontana il tecnico sono le divergenze con Tare sullo scouting, sui rinforzi, come emerso a gennaio. In quel contesto si è un po’ alterato anche il rapporto fra Sarri e Lotito, che pure ha investito e assicura di credere ancora tanto nel nuovo progetto. Maurizio però pretende sei/sette acquisti, comincia a pensare di essere incompatibile con il ds che – nonostante il corteggiamento da Lipsia – ha giurato che resterà anche il prossimo anno, come da contratto. Rischia di presentarsi un aut aut: da che parte sta Lotito? In questo momento, come i tifosi, è più irritato con la squadra che domenica ha mollato, senza mostrare nessun orgoglio. È pronto a intervenire di nuovo in prima persona anche minacciando qualche taglio perché rialzare la testa è un obbligo. L’Europa League resta un obiettivo, anche dal punto di vista economico. Sarri domani alla ripresa, sia pure senza 11 Nazionali, farà il primo discorso. Guai a farsi schiacciare anche dal Sassuolo. Il Messaggero/Alberto Abbate