Il Messaggero | Lazio, Sarri sogna ancora Rafa Silva e Berardi. Piacciono Hudson-Odoi e Pinamonti
Quante promesse di Lotito, al momento riposte in un cassetto, aspettando la fine del campionato: «A giugno prenderemo un vice Immobile... Il contratto di Pedro lo intendo già rinnovato... Ci sarà una nuova primavera della Lazio». I primi due impegni, il presidente li aveva presi pubblicamente fra dicembre e gennaio, la terza è una battuta enigmatica fatta due settimane fa a Sarri in privato, alludendo a un ulteriore processo di cambiamento nell’organigramma societario. Negli ultimi giorni c’è stato un riavvicinamento fra Tare (in scadenza a giugno) e il patron. Ufficialmente Maurizio non ha mai posto un aut aut col ds, ma Lotito sa benissimo che il tecnico sarebbe pronto a guardarsi intorno (Tottenham e Inter sono tornate sotto) nel caso in cui alla fine a Formello dovesse restare a sorpresa questo status quo. Stavolta Sarri pretende la rivoluzione sino in fondo e un progetto alla Ferguson mai decollato. Tutto però dipende ancora dalla Champions. Se arriveranno quei 50 milioni per dare ossigeno al bilancio, il Comandante vorrà essere seguito sul mercato.
I NOMI - In avanti Lotito aveva proposto a gennaio Retegui, c’è l’Inter e il prezzo è lievitato. Per caratteristiche oltretutto l’oriundo, come Mariano Diaz (nuovi rumors), non è certo l’attaccante preferito. Da tempo Sarri sogna Rafa Silva del Benfica, ripensa a Hudson-Odoi del Chelsea, Berardi del Sassuolo è un altro vecchio pallino. Si potrebbe rinforzare con un grande esterno l’attacco, lasciando crescere da centravanti Felipe Anderson. Fra i giovani Pinamonti è sempre piaciuto. Occhio ai baby Baldanzi e soprattutto Fazzini a centrocampo, dove Zielinski può prendere il posto di Milinkovic in caso di addio. Frattesi costa troppo nonostante il richiamo dello spoglaitoio, Loftus-Cheek invece non è mai tramontato. Attenzione a Rovella, se la Juve non dovesse riportarlo a Torino. Uribe è un’occasione (con un biennale) a parametro zero proposta da Lotito. Bisogna sedersi a tavolino. Il Messaggero/Alberto Abbate