Il Tempo | Luigi Martini: "Lazio Immortale"
Luigi Martini ha ripercorso, raccontandosi a Il Tempo, le gesta di quella gloriosa squadra passando tra aneddoti e ricordi
In un'intervista rilasciata a Il Tempo, Luigi Martini ha parlato di quella gloriosa Lazio che 50 anni fa tra poche ore avrebbe vinto il primo Scudetto della storia biancoceleste.
Martini, parliamo di Maestrelli, quanti meriti ha avuto?
"Senza di lui quella squadra non avrebbe vinto né sarebbe esistita. Ha inventato il mio ruolo facendomi giocare a piede invertito. Ai nostri tempi facevamo cose che adesso passano per nuove. Maestrelli è l'unico allenatore della storia ad aver vinto due seminatori d'oro uno dietro l'altro. Aveva una capacità innata di entrare nella psicologia dell'uomo che ha finito per oscurare la sua capacità tecnica."
Le piace il calcio moderno?
No, troppi scienziati: noi quando prendevamo palla avevamo l'obiettivo di arrivare il prima possibile sotto la porta avversaria e far segnare Chinaglia altrimenti si arrabbiava. Poi mi piacevano i duelli di allora. Avevamo ottimi rapporti anche con quelli della Roma. Pochi giorni fa ho incontrato Francesco rocca e abbiamo ricordato i tempi passati.
Lei era uno dei capi dello spogliatoio contro quello di Chinaglia-Wilson
Ci menavamo in settimana poi arrivava la mediazione di Maestrelli. La domenica però guai a toccare uno di noi eravamo tutti uniti. Certo quelle risse tra spogliatoi rigorosamente divisi erano reali. Ci sfidavamo su tutto.
Alla fine il simbolo dello scudetto è Chinaglia le dispiace?
Assolutamente no. Merita questo riconoscimento Giorgio, laziale nell'animo. Certo, non sapeva tirare i rigori ma eravamo costretti a tremare ogni volta che andava dal dischetto perché non si poteva fare diversamente. La vittoria finale è griffata da due persone: Maestrelli e Chinaglia.
Qual è il giocatore più sottovalutato del vostro gruppo?
Frustalupi, se non avesse avuto noi intorno sarebbe diventato Gianni Rivera. Dare palla a lui era come metterla in cassaforte
Ci spieghi la storia delle pistole in ritiro.
Petrelli prese il porto d'armi e si presentò con una pistola. da allora cominciammo tutti a sparare in quell'hotel sull'Aurelia. Sparavamo ai lampioni nel parcheggio. Un giorno si presentò Maestrelli con una gazzella dei Carabinieri preoccupatissimo ma convincemmo il maresciallo a sparare con noi.
Il suo ricordo del 12 maggio?
Mi ruppi la clavicola dopo 5 minuti della ripresa, il dottore ed il massaggiatore mi portarono negli spogliatoi e mi lasciarono lì. Interpretavo i rumori dello stadio. Ricordo il silenzio prima del rigore decisivo e poi il boato.
Il suo ricordo di Lenzini?
Una figura fondamentale. Quando seppe che io e Cecco facevamo i paracadutisti accettò la cosa seppur con grande preoccupazione
Infine il suo amico Luciano e quella tragica fine.
Eravamo amici veri (si commuove ndr.). Sapevamo di poter contare reciprocamente uno sull'altro. Sul campo potevo eseguire le mie azioni perché sapevo che mi avrebbe coperto. Quando è scomparso non riuscivo a sentire il dolore perché lo rifiutavo, poi quando ho preso coscienza della sua mancanza ho avvertito un vuoto così grande che non avevo più voglia di giocare a calcio. Il giorno della sua morte avevo un appuntamento con lui al Fleming. Arrivai con 4 o 5 minuti di ritardo e c'erano 300 o 400 persone intorno a quella gioielleria. Un amico mi disse: “hanno sparato a Luciano e l'hanno portato ora al San Giacomo”. Il resto lo sapete, Cecco è sempre nel mio cuore.