Igli Tare, l'ex direttore sportivo della Lazio, ha rilasciato un'ampia intervista a Radio Serie A, condotta dal noto giornalista Alessandro Alciato, già volto di spicco in passato di Sky Sport. Di seguito la conversazione tra i due:

Igli, per iniziare ti chiedo come sono le tue giornate adesso che non sei più alla Lazio.

“All’inizio era un po’ strano il sentimento di fare questa vita senza dei pensieri, però piano piano mi sono un po’ abituato. Cerco di riempire le giornate con la possibilità di conoscere meglio tanti campionati europei e di visitare da vicino diversi luoghi, stadi, club per conoscere al meglio la mentalità loro, cose che poi dopo ti servono pure il percorso futuro”.

C’è un po’ di rabbia per come è finita con la Lazio? E perchè è finita?

“Non ho rabbia perché è stato un mio desiderio. La Lazio rimarrà sempre la Lazio per me. È una cosa che ti entra dentro, e la porterò sempre dentro come la più bella esperienza della mia vita. 18 anni sono tanti, ho vissuto momenti brutti e momenti belli però con il passare degli anni ho capito che il ciclo mio era arrivato alla fine e ho cercato anche di andarmene nel momento giusto anche perché il rispetto nei confronti della società e dei tifosi era molto grande da parte mia perciò volevo lasciare il club al top e così è stato. È stata un’uscita dolorosa per i primi mesi ma adesso mi sento bene e ricaricato ma per di più posso dire che sarò sempre un tifoso della Lazio.”

C’è stato un momento esatto in cui hai maturato questa decisione?

“Negli ultimi anni vedevo la crescita della società ed era questo l’obiettivo che ho sempre avuto nella mia testa. Capivo anche che le possibilità non erano più le stesse, le aspettative erano sempre più grandi e allora ho capito che era il momento di andare altrove. Era un qualcosa che mi sentivo dentro, l’ho detto anche al presidente Lotito tempo fa quando gli ho comunicato questo mio desiderio dicendo che per me era giunto il momento ed era quello giusto come già detto prima. “

23 anni in Italia: in cosa sei diventato italiano?

“Io sono sempre stato un po’ italiano.nella mia città natale, a Valona, si parla italiano siamo cresciuti con la TV italiana, con il calcio italiano, con la musica italiana perciò il legame con l’Italia per me è sempre stato molto forte.il mio desiderio anche quando giocavo in Germania era quello di venire in Italia, è come la mia seconda patria e ho sempre fatto questo percorso con grande piacere. 23 anni sono tanti, metà della mia vita l’ho passata in questo paese e gli sarò sempre grato. Sono un cittadino italiano ormai e lo porto con fierezza perché gli devo tanto a questo paese che mi ha accolto con grande rispetto.”

Oltre al destino per raggiungere i propri obiettivi ci vuole anche una certa dose di solidarietà umana, perché se nella tua carriera non avessi incontrato determinate persone che ti hanno aiutato, forse dall’Albania non avresti trovato fortuna in Germania.

“Per questo a volte dico che ci sono delle favole. Ho cercato di ridare qualcosa indietro quando è capitato con l’arrivo di Onazi alla Lazio. Quando l’ho visto arrivare nel mio ufficio insieme a un prete e ad un suo compaesano che sono venuti dopo che 8/9 squadre in giro per l’Europa non gli avevano accettati. La loro storia mi ha subito ricordato la mia storia perciò gli ho dato la possibilità di allenarsi con la primavera della Lazio e dopo due settimane decisi di fargli il contratto. Se lo meritava e poi sappiamo bene la storia di un’azienda che ha fatto una carriera più che dignitosa.”

Con un prete si è presentato?

“Sì. Era un rappresentate di una chiesa molto forte in Nigeria che aveva questi due giocatori che avevano appena finito i mondiali under17 in Nigeria come vicecampioni del mondo e che cercavano di aiutare.“

Come è stato l’arrivo in Italia a Brescia?

"Avevo 27 anni, il mio sogno era quello di giocare in Italia ma avevo paura fosse già troppo tardi. Ne stavo parlando giusto con mia moglie guardando alla tv un derby di Milano, una settimana dopo circa ero in campo a giocare Brescia-Milan, marcato da Maldini e Costacurta. Ricordo quelle giornate, c'era tanto stupore nei miei confronti, il Brescia stava cercando disperatamente un attaccante: Gianluca Nani si è presentato in Germania, la trattativa è durata poco. Voleva fare uno scherzo al Presidente Gino Corioni, mi disse: 'dobbiamo dirgli che hai un braccio di legno'. Corioni era preoccupato, sentivo le urla al telefono, diceva: 'e ora chi glielo dice a Mazzone?'. Mi ricordo l'arrivo a Erbusco, vedevo un uomo che girava intorno a me, io non sapevo chi fosse. Ho chiesto a Edoardo Piovani chi fosse, lui mi disse: 'è il nostro Presidente, sta guardando se hai un braccio di legno'. Sono scoppiato a ridere, mi sono presentato a lui mentre mi fissava il braccio. Quando ha visto che era vero, ricordo le urla e le risate con gli altri. Faccio il mio esordio in un Brescia-Milan, ero molto emozionato: sono entrato gli ultimi 20 minuti, alla prima giocata provo a stoppare la palla di petto ma sbaglio. Mi giro verso la panchina e vedo Mazzone verso la tribuna che urla: 'ao, ma ndo cavolo l'abbiamo trovato questo'. Nella partita successiva, contro il Bari, ho segnato il mio primo gol: da lì è stato un girone di ritorno da record, da penultimi siamo finiti settimi. Siamo arrivati in finale della Coppa Intertoto pareggiando due volte col PSG. Il mio legame con Brescia rimane molto forte. Gli albanesi quando mi vedevano uscivano dai negozi, dai ristoranti, mi baciavano i piedi perché erano felici che un loro connazionale potesse rappresentarli. Io non ero un giocatore semplice, io rappresentavo anche l’Albania".

E poi nel 2005 è arrivata la Lazio. Oggi, 19 anni dopo, mi dai la tua definizione di Lazio? 

“Difficile trovare una parola sola. È un legame che è cresciuto negli anni. Il mio arrivo alla Lazio era la fine della mia carriera, avevo 32 anni e avrei preferito arrivare molto prima. Non era una scelta del direttore Sabatini ma del presidente. Ho avuto degli anni con alti e bassi da giocatore anche se abbiamo raggiunto una Champions League nel 2006. È stata un’esperienza molto utile che mi aiutato tantissimo per il ruolo di direttore. Avevo la fortuna di conoscere la piazza e quindi un punto di partenza.”

È stato più bello viverla da calciatore o da direttore sportivo? E quale è stata la più difficile?

"Fare il calciatore è il mestiere più bello che esista ma i calciatori hanno una visione nella maggior parte dei casi sbagliata. Ho cercato di trasmettere, con i giocatori che ho portato qui alla Lazio, di fargli capire che la visione della vita non deve essere a 180 ma 360° e fargli capire il ruolo dell’allenatore e del direttore. Penso che è stato molto più difficile da direttore perché passare dal campo alla scrivania è stato comoplicato. Da giocatore sono uscito dall’ufficio di Lotito con un contratto da direttore senza nessuna esperienza. Lotito però ci aveva visto bene perché lui sapeva che io parlavo tante lingue, avevo conoscenza del calcio europeo e venivo da un sistema e un contesto fuori da quello romano.”

Chi è Claudio Lotito per te.

"Claudio è stata una persona fondamentale per la mia vita, gli sarò riconoscente per sempre. Ha dato nelle mani di un ragazzo senza esperienza di 35 anni le sorti di una società così importante. Questa scelta coraggiosa che fece e la consapevolezza dell'investimento fatto su di me mi hanno aiutato.  Nel tempo ho rifiutato molti club che si erano affacciate per avermi con loro, ma e per la riconoscenza nei suoi confronti li ho rifiutati; contento delle mie scelte e del lavoro fatto giorno dopo giorno. Allo stesso tempo siamo stati due uomini con un carattere molto forte, abbiamo avuto tante discussioni, ma lui ha la capacità importante di andare oltre, ma abbiamo un legame forte, lo so, lo ho visto nei suoi occhi. La fine della nostra storia è come la fine di un rapporto consumato negli anni ma che rimane sempre un rapporto bellissimo. I litigi nascevano da un lato tecnico, su come doveva essere il percorso della società ma non erano furibondi".

Maurizio Sarri chi è stato per te.

"E’ un allenatore che sl campo è molto bravo, lo considero capace. Fuori dal campo era difficile comunicarci e creare un rapporto. Ma eravamo tutti consapevoli di questo limite comunicativo che lui ha, ma la scelta fatta tre anni fa è nata perché si chiudeva l'era di Inzaghi e c'era necessità di rivoluzionare e creare un progetto scioccante, opposto rispetto a quello che avevamo con Inzaghi. E’ stata una mia scelta di portarlo alla Lazio, condivisa insieme al presidente,  di portarlo a Roma. Non ho mai avuto problemi con lui, me lo confermò anche in una cena prima dell'ultima partita dello scorso campionato. Le vendette fanno parte del nostro mestiere. Ci sono sempre visioni diverse, ma le nostre devono combaciare per il bene della Lazio, ma alla fine quello che conta è l'obiettivo comune. Non possiamo andare tutti d'accordo sempre. Il secondo posto dello scorso anno è stato frutto di un lavoro ottimale fatto dalla squadra, dal mister e da tutto lo staff. Lui doveva far fare il salto di qualità alla squadra; inculcare ai ragazzi la mentalià di poter lottare per questi obiettivi, fare un salto di qualità. Sarri sapeva che il nostro percorso è stato basato sulla valorizzazione dei ragazzi e non sugli investimenti per acquistarne altri, è la storia di questa società. Sono fiero di aver contribuito alla rinascita, dopo un periodo nero a uno bello, di questa società".

Ti stupisce Simone Inzaghi di quello che sta facendo?

"Posso dire che quando abbiamo scelto di puntare su di lui, eravamo consapevoli di quanto avrebbe potuto fare. È una persona molto profonda anche se non lo da vedere, conosce bene il calcio e conosce bene le dinamiche degli spogliatoi e questo è fondamentale per potersi avvicinare alla squadra. Ha la fortuna dalla sua parte, ma questa fortuna non è un caso, è frutto della sua gestione molto intelligente, la fortuna lui se la crea, nulla arriva per caso. Ad oggi si è consacrato come uno dei migliori allenatori ma può fare ancora meglio".

Il miglior colpo da dirigente di Igli Tare?

"Quando fai questo me siete ti viene in mente il primo colpo: aver portato Cristian Brocchi che arrivava dopo un periodo difficile con il Milan, alla Lazio è stato fondamentale soprattutto nel primo anno per raggiungere degli obiettivi. L'altro colpo che ci tengo a ricordare è Hernanes, il mio primo vero grande colpo. C'era molto scetticismo su questa operazione, erano tutti convinti che non saremmo riusciti a portarlo da noi perché era molto richiesto da squadre molto importanti e blasonate con offerte economiche più importanti. In otto giorni che sono rimasto lì, il suo agente era una persona spettacolare come persona per il suo modo di fare, io ero incazzato dopo 2-3 giorni perché c'erano tante persone da mettere d'accordo, una follia. Dopo 2-3 giorni volevo fare check-out e tornare a Roma e lui mi calmava sempre e mi diceva "lo facciamo". Joseph Lee si chiama, lo ricordo con grande stima. Ricordo volentieri anche l’atteggiamento di Hernanes: io ero in una stanza e nell'altra c'era il Lione, il club faceva due trattative parallele, l'ho capito solo alla fine ed Hernanes è entrato nella stanza del Lione e ha detto che anche se gli offrivano più soldi lui sceglieva la Lazio perché percepiva passione, amore e volontà di portarlo a tutti i costi a Roma.

Esistono colpi sfumati all’ultimo momento che sarebbero potuti diventare clamorosi per la Lazio?

“Sì. Dipende dalle situazioni, le trattative sono possibili solo grazie alla combinazione di più situazioni: servono capacità, tempismo e fortuna. Soprattutto se sei una società che non ha i mezzi economici per lottare fino alla fin e quindi servono diverse combinazioni. Feci incontri anche per Cavani e Kim, ma sfumarono. Cavani era in rottura con il Palermo, incontrai gli agenti, avevamo l'ok del giocatore ma poi Zamparini disse no e Cavani andò al Napoli. Kim lo avevo scoperto 3 anni prima che arrivasse in Italia, avevo fatto anche un'offerta abbastanza importante, di cinque milioni allo Shangai ma non accettarono. Poi il calcio cinese crollò ma non avevamo più lo slot per gli extracomunitari e andò al Fenerbahce. Il resto della storia la conosciamo".

Trattative di cessione rimaste nascoste?

"A Lotito non piace cedere, si affeziona ai giocatori. Tutte le cessioni fatte sono passate da richieste espresse dai giocatori, come Biglia, Candreva, Keita, lo stesso Hernanes, Milinkovic per un discorso di plusvalenza che sarebbe stata importante anche per gli ultimi tre anni della nostra gestione. il Presidente è comunque andato avanti, gestendo la società con difficoltà ma con l'intento di tenere tutti i migliori giocatori, nonostante le difficoltà. Immobile non è mai stato in vendita. C’è stata l’offerta di un club cinese che offriva 50 milioni ma non l’abbiamo presa in considerazione. Per cedere un giocatore come Ciro Immobile è come cedere un pezzo di storia di questa società. Adesso sta attraversando un periodo difficile, secondo me per la mancanza di fiducia che non sente più nei suoi confronti. Lui ha bisogno di sentirla a 360 gradi ma penso che il suo tempo non è arrivato alla fine perchè se lo fai giocare in un determinato modo è ancora un attaccante da doppia cifra".

Che ha di speciale Ciro Immobile con la Lazio? Perchè è un rapporto clamoroso

“Veniva da due esperienze non positive, quando lo abbiamo acquistato dal Siviglia aveva bisogno di rapporti forti con società e allenatore. E così è stato. Nessuno poteva credere che impattasse in questo modo nella storia della Lazio. Ha avuto una media gol irreale. È sempre stato un attaccante da 25 gol all'anno, ma se ci è riuscito è proprio grazie a questa connessione tra giocatore, allenatore e proprietà.  Se mi fa star male vederlo così? No, fa parte del suo mestiere, Lui sa qual’è il suo percorso. ALtri grandi campioni ci sono passati per questi momenti, Sarri e Lotito lo stimano. Gli altri devono essere bravi a non metterlo in discussione in determinati momenti".

Un ritorno alla Lazio?

 "Non so se tornerei, al momento non è la mia priorità. Ho detto tante belle parole sulla società ma so che ho fatto la scelta giusta di andare via, volevo lasciare la Lazio al top. Dissi a mia moglie, quando arriverà quel giorno voglio che l'Olimpico sia esaurito. Abbiamo pianto e ci siamo abbracciati dopo Lazio-Cremonese con lo stadio pieno dello scorso anno. Si ricordò di quella frase. Evidentemente anche il destino lo ha voluto. La mia è una storia di motivazioni per i giovani che nella vita devono sapere che per raggiungere l'obiettivo, non devi mollare mai".

 

 

 

 

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