Osannatelo, non pensate mai più che sia finito. Immobile entra e salva la Lazio: è vivo, bacia l’aquila sul petto, ride e piange nudo sotto la Nord. Tutto l’Olimpico in piedi, anzi ai piedi del capitano. Benedetto sia ancora il 95’, il minuto delle vittorie in Champions proiettato in campionato. È una favola, era destino che anche Ciro risorgesse con un penalty divino (il 57esimo) e regalasse 3 punti pesantissimi, che rilanciano i biancocelesti al settimo posto. Certo, se avevate portato da casa il pallottoliere, avevate sbagliato. Basta un gol, nonostante un’infinità di orrori avanti e dietro. Non manca lo spettacolo all’Olimpico, ma la mira dei due attacchi, fra i più pubblicizzati del nostro campionato. Lazio e Fiorentina si annullano ringhiandosi allo specchio e poi sciupando l’impossibile nel secondo tempo. Immobile è un cecchino, risolve tutto all’ultimo respiro, dona gioia e ossigeno per tornare a scalare le posizioni per la Champions.

Non c’è Ciro in principio, ma i quattro cambi rispetto al Feyenoord regalano comunque un altro approccio della Lazio. C’è grinta, coraggio, voglia di lanciarsi all’attacco. All’inizio Sarri rilancia Castellanos, più decentrato sulla destra, girovago. Il 4-2-3-1 di Italiano cerca di far salire la Lazio per punirla sugli esterni, ma Nico Gonzalez è spocchioso anche in ripiegamento: con un tacco fa involare Guendouzi, che non trova la deviazione vincente al centro. Il francese è un moto perpetuo, alterna le sgommate con Felipe Anderson. La prima vera chance dell’incontro, servita dal Taty, capita però sui piedi di Luis Alberto: esterno della rete, niente tocco fatato. Il Mago dà l’esempio, avvia sempre il primo pressing biancoceleste, ma s’innervosisce e si perde strada facendo. E ai suoi fianchi Zaccagni e Felipe Anderson sbattono. La Fiorentina invece fa sul serio: un lancio di Bonaventura (che insieme ad Arthur annulla Rovella in mezzo) scavalca Romagnoli, Beltran supera anche Provedel, ma il controllo di mano viene punito, e quindi il gol annullato. Indomito, però, il bomber di Corboba svetta di testa su un cross di Duncan e colpisce in pieno il palo: la marcatura di Marusic è horror. I biancocelesti reggono e reagiscono con le ripartenze, ma sbagliano sempre l’ultimo passaggio con Felipe Anderson oppure con Zaccagni, che calibra malissimo il giro sul secondo palo. Le squadre si annullano con il ritmo, la precisione è un optional, il gioco continuamente interrotto. Sotto porta manca il cinismo, bloccato in uscita da Provedel su Nico. A fine primo tempo Rovella bracca Ikoné in area e rischia tantissimo: Marcenaro lo grazia e poi estrae due gialli perché i protagonisti arrivano muso a muso.

OCCASIONI SCIUPATE - Sale la tensione, è palpabile all’uscita dallo spogliatoio. Luis Alberto cerca un coniglio dal cilindro, ma sembra spremuto da 32 giornate di seguito in campionato e tre gare di Champions. Alla Lazio manca il suo genio. E allora da dietro Patric lancia lungo per Zaccagni, che serve Castellanos: il Taty si divora un gol clamoroso, perché il fuorigioco segnalato dal guardalinee Cipressa sarebbe forse stato annullato. E poco dopo piazza un altro piattone sballato. Felipe Anderson fa peggio: si gira in area e calcia addosso a Terracciano. Tre occasioni nitide in pochi minuti gettate al vento. Anzi, quattro: Luis Alberto si fa murare sulla linea un piattone destro. Stop, Sarri sostituisce lo spagnolo con Kamada subito dopo, e Guendouzi con Vecino. Proprio il giapponese regala geometrie e manda in porta Felipe, che sciupa di nuovo tutto. A meno di un quarto d’ora dalla fine entrano Immobile e Pedro, acclamati da tutto lo stadio. I tre cambi confezionano il trionfo: lo spagnolo innesca Vecino, il più pericoloso: prima sfiora il palo da lontano e poi svetta e si conquista il rigore (testata sul braccio di Milenkovic) all’ultimo minuto di recupero. Ciro va tesissimo sul dischetto, ma fa centro. Spiazza Terracciano al 95’, il minuto di liturgico, ora anche della rinascita del capitano della Lazio. Il Messaggero/Alberto Abbate

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