Arianna Mihajlovic - LazioPress
Arianna Mihajlovic - LazioPress
Mihajlovic e Sarri
fraioli

Arianna, c’è già aria di Natale… 

E non mi mette allegria. Sinisa se ne è andato il 16 dicembre del 2022. E anche quel giorno in città era tutto uno scintillio. 

Come sono stati questi due anni? 

Difficili. Il secondo ancora peggiore del primo. All’inizio ho vissuto sotto shock. Mi sembrava che da un momento all’altro mi potesse chiamare da Bologna, dove stava gran parte della settimana: “Amo’ — mi chiamava così, in un romanesco intinto nell’accento slavo — Domani arrivo, mi fai pasta e fagioli? Piccante, eh”. Il lunedì, il suo giorno di riposo, lo passavamo tra alimentari e norcinerie».

Una famiglia numerosa: 5 figli.

Sì! Viktorija, 27 anni, lavora con Maria De Filippi. Virginia, 26, si è sposata con Alessandro Vogliacco, che gioca nel Genoa. Miroslav ha preso il patentino a Coverciano, allena l’under 15 del Bologna. Poi c’è Dusan, 22 anni, che collabora con Alessandro Lucci, il patron di una grossa società che si occupa di sport e calciatori. E infine Nikolas, 17 anni: va al liceo». 

A casa Mihajlovic il calcio è ancora protagonista. 

I miei figli sono innamorati del pallone: e vanno ancora allo stadio. Io faccio fatica, invece, e poi sa una cosa? Sono una romanista diventata laziale per amore.

Che padre è stato Sinisa? 

Cambiava i pannolini, faceva il bagnetto, ma dava regole. Quindi non si sgarrava. Per loro perderlo è stato veramente duro. Ma sono la mia forza. A Sinisa gliel’ho promesso. “Ora vai — gli ho detto stringendogli la mano — ai ragazzi ci penso io”. Solo allora se ne è andato… È stato il momento più terribile e intenso che abbia mai provato. Eravamo intorno a lui, io, i figli, il suo migliore amico, mia madre, sua madre. Dopo l’ultimo respiro, c’era una forza in quella stanza che non saprei descrivere. Abbiamo pianto le lacrime che non avevamo potuto versare prima, per non fargli capire che era finita». 

Non gli ha detto la verità? 

No, volevano così anche i miei ragazzi. Sinisa aveva troppo bisogno di pensare che avrebbe avuto un domani.

Come vi siete conosciuti?

A Roma, nel ristorante di un’amica. Un colpo di fulmine. Guardavo i suoi occhi e li trovavo incredibili.

Che carattere aveva? 

Era perbene, schietto, buono. Non un tipo ridanciano. Non mi diceva mai: “Ti amo”. Ma tra noi era così, l’amore me lo dimostrava coi fatti. E io uguale. Negli ultimi tempi avrei voluto dirgli che lo amavo in ogni momento, ma temevo potesse capire che la situazione stava precipitando. Uno degli ultimi giorni, però, ce lo siamo detti con uno stratagemma. Lui era in clinica, era venuto l’oncologo Marchetti a visitarlo. “Grazie Paolo, ti voglio bene”, gli ha detto mentre il medico andava via. Ho preso la palla al balzo: “E a me?”. “A te ti amo, è diverso”. “Anche io”, gli ho risposto. E non vedevo l’ora. 

I momenti più felici? 

Quando sono nati i figli. E poi era allegro quando tornava in Serbia.

E nel 2000, per lo scudetto con la Lazio? 

Felicissimo. Quelli alla Lazio di Cragnotti sono stati gli anni più belli anche per me. La squadra festeggiò insieme a mogli e fidanzate in una villa romana. Poi vollero organizzare un bis: una serata solo tra calciatori. E sa che successe? Ho ancora il senso di colpa».

Cosa accadde? 

Non ce l’ho mandato. Ero gelosa. Col senno di poi, me ne pento. 

Che rapporto ha con i tifosi? 

Da loro ho un affetto pazzesco! Ma anche la dirigenza del Bologna è stata fantastica, ha pagato lo stipendio quando lui non c’era più. Da Lotito, invece, mi aspettavo di più. Non per me, ma per mio figlio, l’allenatore: Sinisa alla Lazio ha dato veramente tanto.

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