Il Messaggero | Lazio, ora parli il campo: dopo le accuse di Lotito e gli appelli di Sarri, palla ai giocatori
Un segnale forte e chiaro. Mai così deciso. Una cena di Natale che passerà alla storia per essere ricordata come la serata della svolta definitiva oppure quella della divisione. La risposta ci sarà a breve, tra due giorni in casa col Genoa. Mai era capitato ad un evento così solenne, di solito ovattato e pieno di stucchevoli convenevoli, di assistere ad un presidente che prende di petto tutta la squadra chiamandola alla responsabilità e aspettandosi una risposta “da uomini” e non da “viziati che giocano solo per lo stipendio” oppure ad un allenatore che dichiara amore ai suoi ragazzi, ma allo stesso tempo li richiama all’ordine per dare tutto “quello che hanno dentro”. Un appello accorato. Un’esortazione, ma perché? Evidentemente più di qualche giocatore non fa le cose per bene e come dovrebbero essere fatte. Sembra quasi che entrambi, tecnico e patron, si siano messi d’accordo, ma in realtà è stato tutto spontaneo, non programmato. E questo però lo rende ancora più vero. Talmente sincero che mette spalle al muro tutti i giocatori. Senza se e senza ma. Non è sicuramente un caso che il numero uno della società e l’allenatore dicano le stesse cose, anche se usando toni e modi diversi. Se la Lazio non riesce a rendere come squadra dal punto di vista collettivo è perché qualcuno, probabilmente in modo inconscio, ancora non riesce a staccarsi da Inzaghi e da quel modo di gestire la settimana lavorativa e le partite. Da una parte c’è Sarri che lamenta il poco tempo per lavorare come vorrebbe, ma dall’altra c’è un gruppo di giocatori che scende in campo e si esprime in maniera troppo altalenante e pare non gradire tanto i rimi incessanti di allenamento. A Bergamo con l’Atalanta e con la Fiorentina in casa sono state le uniche partite dove il tecnico, a fine gara, è entrato nello spogliatoio, esaltando tutto e tutti: "Così si deve giocare, così dovete fare". Ma due partite in mezzo a ventitré sono troppo poche. E nascondono altro. Sul banco degli imputati ci finiscono i big come Milinkovic, Acerbi, Leiva, Felipe Anderson, Luiz Felipe e anche lo stesso Luis Alberto, anche se quest’ultimo, nonostante più di qualcuno lo indichi come il più indisciplinato, alla cena di Natale è stato uno dei pochi a restare fino alla fine con Immobile. Si è perfino abbracciato con Lotito. Un evento. Sono i big che dovrebbero dare l’esempio agli altri e trascinarli. Quelli che stanno da più tempo a Formello sanno cosa significhi giocare per la Lazio, almeno è ciò che spera Lotito. Ed è proprio quello che pretende il presidente, non a caso, durante il suo discorso, ha citato Klose. Un campione che faceva gol, ma era anche serio e professionale per tutta la settimana. Era il suo modo di essere leader e di trascinare i compagni. Non aveva bisogno di urlare o sbraitare. A parole sono tutti bravi e pronti a seguire Sarri, vedi Milinkovic e quanto ha detto alla cena dell’altra sera o Acerbi che chiede scusa a tutti per Reggio Emilia, ma poi sul terreno di gioco il linguaggio del corpo dice l’esatto contrario. Se i giocatori sbagliano la linea difensiva o i centrocampisti non rispettano le distanze una o due volte può essere legato alla concentrazione, ma se gli errori si ripetono sempre e comunque, allora è superficialità e menefreghismo. Il problema è che Sarri è un buono ed è convinto di entrare nella testa dei più scettici, la questione è capire se sia troppo tardi o meno. Per Milinkovic o altri che ora devono far vedere se sono sul pezzo oppure, come sembra, stanno già pensando a giugno e a dove andare. Se è così, è inutile il lavoro di Sarri e il progetto con quelli che ci sono. Col Genoa la risposta più attesa. Il Messaggero.