In fin dei conti la sua vita è sempre stata questa, da quando era bambino. Mattia Zaccagni è cresciuto per far star bene gli altri. Da piccolo, lavorando nell’albergo della madre e dei quattro zii a Bellaria (Emilia-Romagna), preoccupandosi del benessere degli ospiti. Ora, segnando e servendo assist: «Ogni estate davo una mano in struttura - racconta al Corriere della Sera - Sono cresciuto lì dentro, ho amici che mi porto dietro dall’infanzia e che ho conosciuto proprio in albergo». Ha i riflettori addosso perché società e tifosi da lui si aspettano molto, ma in realtà l’esterno della Lazio è piuttosto timido e semplice: ama gli animali (ha un gatto e un cane, che ha chiamato Twenty, come il suo numero di maglia), con i quali dorme insieme e si sente realizzato dopo la nascita del figlio Thiago, che ha da poco compiuto un anno. Inoltre ci tiene a capire la storia della squadra per la quale gioca. «Ho bisogno di sapere che cosa significa la maglia per i tifosi per rendere di più».

Vede differenze fra le varie tifoserie?

«Senza dubbio. Quella fra laziali e romanisti si è vista dalla scenografia dell’ultimo derby».

Come si è avvicinato allo sport?

«A 5 anni mio padre mi iscrisse alla scuola calcio. Lui e mamma erano disperati perché a furia di pallonate in casa rompevo tutto: lampade, foto, tutto. Mi ricordo un mobiletto che consideravo a forma di porta e quindi perfetto per giocare. Mi svegliavo a ogni ora per vedere partite di campionati improbabili. All’epoca non lo vedevo come un lavoro».

Ora però anche con i soldi arabi spesso l’ambizione economica ha il sopravvento su quella sportiva...

«In Arabia offrono stipendi decuplicati. Finché non si riceve un’offerta del genere non si può giudicare».

Ha mai rischiato di perdere la percezione della realtà a causa dei soldi che guadagna? «Ho avuto stipendi graduali. Ho giocato in serie C, in B e poi in A. La crescita è stata gestibile. Altri vanno da zero a cento. Per loro sarebbe giusto che le società mettessero a disposizione un tutor che aiuti a dare il giusto valore ai soldi».

Le sue ambizioni quali sono?

«Vincere un trofeo con la Lazio. Ci stiamo riprendendo dopo un inizio negativo, ma siamo forti. Purtroppo, rispetto al passato, il calcio è cambiato. Per le società è importante arrivare in Champions per ricevere soldi. Per me invece contano i titoli. Si gioca per vincere e i tifosi sognano quello. Un compromesso sarebbe fare in modo che attraverso la Coppa Italia si arrivi in Champions. Altrimenti si rischia che società, giocatori e tifosi abbiano priorità diverse. E questo crea distanza».

Il suo procuratore Giuffredi è sembrato critico col presidente Lotito circa la gestione del suo rinnovo. È una questione che la destabilizza?

«A 28 anni non posso farmi destabilizzare da quel che dicono gli altri. Lui ha espresso il suo parere che credo sia stato mal interpretato».

Ma lei vuole rinnovare?

Certo, e la società lo sa. Ultimamente non ci sono stati molti contatti, ma Lotito si muove così: mette da parte il discorso e poi lo riaffronta. Ha i suoi tempi, ma credo sia giusto affrontare prima la questione relativa al rinnovo di Felipe Anderson, che scade fra pochi mesi. Il mio contratto invece scadrà nel 2025».

Come si spiega il calo del reparto offensivo?

«È solo un momento, siamo anche stati sfortunati con tanti pali. L’anno scorso ho reso per tutta la stagione, ma sono arrivato un po’ stanco e meno lucido. Devo ritrovare quella condizione. Una volta rientrato dall’infortunio, che non è serio, spero di dare un contributo maggiore. Con Sarri sono cresciuto, mi ha insegnato ad attaccare l’area e a essere più concreto».

Eppure lei in carriera spesso è stato altalenante: mai un gol dalla 30esima alla 38esima giornata...

«Non lo sapevo. Mi fa strano. Quest’anno però giuro che segnerò».

Tatticamente non la aiuterebbe un terzino di piede sinistro che si sovrapponga?

«C’è Luca Pellegrini. Ma con Lazzari a destra farlo giocare è difficile per gli equilibri. Mi aiuterebbe, ma Marusic e Hysaj rendono».

In passato ha segnalato alcuni messaggi d’odio ricevuti su internet...

«I social sono pericolosi: ci sono persone fragili che in seguito a questo tipo di messaggi che ricevono compiono gesti estremi. Recentemente un ragazzo si è suicidato in diretta su TikTok, e non è il primo. La politica dovrebbe prendere a cuore la situazione. Bannare chi si dimostra violento verbalmente potrebbe essere una soluzione». CorriereDellaSera/Elmar Bergonzini

ESCLUSIVA | Da Sarri alla Champions passando per il derby e la Nazionale: Vecino si racconta | VIDEO
Il Tempo | Lazio, allarme rientrato per Kamada