Beppe Signori: "Con Eriksson litigherei di nuovo, mancava onestà. Sogno? Allenare i giovani"
Pochi giorni dopo l'annuncio della pubblicazione del suo libro "Fuorigioco. Perde solo chi si arrende" Beppe Signori ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera toccando vari argomenti. Queste le sue parole: "Io a capo di una banda che combinava partite? Io a capo di una banda, come Totò Riina. Solo che è provato che su 70mila intercettazioni o contatti io non abbia mai parlato con nessuno della banda. Come facevo? E senza sim segrete. L'arresto? Sempre pensato “se li arrestano qualcosa avranno fatto”. Poi è successo a me: 1° giugno 2011, sto tornando a Bologna da Roma dove ero andato a trovare i miei figli, mi chiama mia moglie Tina, mi dice agitata che sono venuti degli agenti a perquisire casa. Due poliziotti mi avvicinano alla stazione Termini, non so perché. Inizia un incubo lungo 10 anni. Per un mix di cattiva sorte, superficialità, narcisismo mediatico. Condannato senza processo, non uscivo più di casa, provavo vergogna anche se non avevo fatto niente, tutte le volte che la tv ne parlava era come se mi tagliassero una gamba. Inizi? Giocavo nella squadra del mio paese, la Villese, quando mi sceglie l’Atalanta: ho 10 anni. Al primo allenamento vado a Bergamo con la corriera: mi vengono a prendere in stazione, ma al ritorno mi lasciano in strada. Io non so cosa fare, mi spavento, piango. E quando per miracolo torno a casa decido che non voglio più giocare per l’Atalanta. All'Inter il provino dura 7 minuti: il portiere fa un rinvio, il pallone mi colpisce in faccia, cado svenuto ma segno. Mi prendono per tenerezza. Poi però puntano su Fausto Pizzi e a 15 anni mi mollano. Foggia? Divento attaccante. Anni spensierati. Ci allenavamo in un centro vicino allo Zaccheria. Per rientrare, sporchi, infangati, passavamo in mezzo al mercato, con le signore che facevano la spesa. Litigi con Eriksson e Sacchi? Con Eriksson lo rifarei: mancava onestà, aveva deciso dall’inizio di non puntare su di me, non me l’ha mai detto. Con Sacchi no: oggi direi “gioco anche al posto di Pagliuca”.
Sui fatti di calcioscommesse: "L’antefatto: io ero amico di Gigi Sartor. Lui in Cina ha conosciuto degli investitori di Singapore, che non sono però quelli dell’inchiesta scommesse, non c’entrano niente, sono solo di Singapore, vogliono comprare una squadra di B e vogliono spendere il mio nome come futuro allenatore. Mi danno come compenso 32mila euro, che io deposito in Svizzera, con nome, cognome, modulo antiriciclaggio. Per la procura diventa un conto cifrato, sa perché? Perché scelgo di identificarlo con delle cifre. Comunque, vado a quell’incontro per sostituire Sartor. Poi non vedo mai più nessuno. Mi chiedono di puntare dei soldi su Atalanta-Piacenza combinata e io rifiuto subito. Così per convincermi che sono gente seria mi dicono: “dai scrivi come va a finire, scrivi a che condizioni si può fare”. Io per non discutere scrivo, metto il bigliettino nella tasca dei jeans e me ne dimentico. Ma è provato che nessuno ha accettato di fare niente. Fosse rimasto nei jeans, il bigliettino sarebbe andato distrutto e non sarebbe successo nulla, invece mia moglie svuota le tasche e il papello sta sul comò per due mesi e mezzo, dove lo trova la polizia. Rinunciare alla prescrizione non è banale. Non volevo restare nel grigiore, i miei avvocati precedenti mi avevano proposto di patteggiare, ma sarebbe sembrato ammettere una colpa, ho cambiato avvocati e con Patrizia abbiamo scelto la strada più difficile. Ed è uscito che sono innocente. Perché non ho patteggiato a Cremona? Perché sarei ancora in ballo e volevo tornare nel calcio. Malore nel 2019? Un embolo partito dal polpaccio destro mi ha bucato il polmone. Avevo iniziato a sputare sangue, ero in ospedale, quando è impazzito il cuore. È chiaro che lo stress ha avuto un bel peso: ero nel mezzo della battaglia in cui mi giocavo tutto. Sogno? Allenare i giovani: servono maestri di calcio. Scommettete su Signori".