La Stampa| Bruno Giordano: "I miei idoli Chinaglia e Cruyff, la Roma tentò di..."
Sull'edizione odierna de La Stampa c'è una lunga esclusiva al bomber Bruno Giordano, idolo di un'intera generazione.
Di seguito un estratto dell'intervista:
I suoi Idoli?
“Pelè, Chinaglia, che per noi laziali è un simbolo e Cruyff, che imitavo anche con i capelli a caschetto.”
Cruyff disse che lei era il suo erede.
“Ogni tanto riguardo la foto, che ci ritrae al Camp Nou nel 1975 quando Lazio e Barcellona si incontrarono in Uefa e ricordo con grande piacere una telefonata grazie ad Antognoni.”
Poi a 13 anni la Lazio:
“Parlò di me Toto Forti, uno dei ragazzi con cui giocavo a Trastevere: Flamini venne a vedermi nell’Orion, la squadra messa su da Don Francesco, un prete che ha strappato tanti ragazzi alla strada. Fu lui a procurarmi le scarpette per il provino, più grandi di due numeri: e chi le aveva mai avute? Per il cartellino gli diedero uno stock di maglie, una sacca di palloni e 100 mila lire: ne girò 25 alla mia famiglia”.
La Roma provò a convincerla:
“Mi promisero la fascia di capitano e una Vespa per andare agli allenamenti, ma ormai avevo dato la parola. Papà Carlo era tifoso giallorosso, però non accanito. E non aveva mai dato un calcio a un pallone. Mi ha lasciato libero di scegliere come sempre. La Lazio mi ha aiutato a crescere: Guenza e Carosi erano dei papà, se facevamo qualche marachella volavano ceffoni”.
I derby?
“«Ricordo ancora il primo, nel ’69 al campo dei Ferrovieri: uno a zero per noi, c’era la neve. Dopo di noi giocava Raimondo Vianello”
Poi il doppio scudetto nel '74 con la Lazio:
“Noi Primavera e la prima squadra. Io mi allenavo già con i grandi: erano un po’ folli, litigavano, ma la domenica diventavano un gruppo granitico. Avevano davvero le pistole e non sparavano solo nei boschi, anche a Tor di Quinto.”
L'anno dopo il debutto:
“A Marassi con la Samp, segnai su assist di Chinaglia e capii di poter stare a certi livelli. Ricordo la festa dei miei amici la sera a Trastevere, la gioia sul viso di mamma Tina. In panchina c’era Corsini, Maestrelli non stava già bene, ma la scelta di lanciarmi fu sua. Ci tengo a dirlo perché il ricordo incentrato sulle grandi qualità umane, rischia di oscurare quelle professionali. La Lazio giocava un calcio straordinario, assomigliava all’Olanda di Cruyff. Sono felice d’avergli regalato un sorriso quando ci guidò per l’ultima volta: perdevamo 2-0 a Como, finì 2-2 e un mio gol avviò la rimonta”.
Ereditò il 9 di Chinaglia, conquistò la Nazionale, nel ’79 fu capocannoniere:
“Un sogno spezzato dal Calcioscommesse. Ero innocente e non mi stancherò mai di urlarlo, ritrovarsi in carcere fu terribile. La rabbia è la stessa di allora e sarà così finché morirò: mi hanno rubato Spagna ’82, avrei potuto diventare campione del mondo. La giustizia ordinaria mi ha assolto per non aver commesso il fatto, quella sportiva ha fatto e disfatto come ha voluto”.
Il Mondiale valse l’amnistia.
“Scelsi di ricominciare dalla B con la Lazio. Lo dovevo alla gente che mi era stata vicina. Avevo vissuto da leone in gabbia, allenandomi senza poter giocare: riempivo i week-end conle partitellenei circoli”.
Con 18 gol portò la Lazio in A.
"Ma il mio campionato si fermò a dicembre per un fallo vigliacco di Bogoni dell’Ascoli: mi colpì a centrocampo, senza palla e non mi ha mai chiesto scusa. Ero appena tornato in Nazionale. Rientrai ad aprile e segnai dopo un minuto, al Napoli che dopo un anno sarebbe diventato la mia squadra. Chinaglia, diventato presidente, aveva bisogno di soldi e voleva cedermi alla Roma, ma fui risoluto: “Non ci vado per rispetto mio, dei tifosi e anche tuo”.
Ha segnato 171 gol, c’è chi sospetta che il 172° lo risparmiò alla Lazio il 25 giugno 1989. (sorride):
“Non l’ho fatto apposta, semplicemente l’Ascoli era tranquillo e non c’era grande tensione. Diciamo che non fu un tiro cattivo e che in fondo non mi è dispiaciuto sbagliare: si salvarono anche loro”.