Per la morte di Vincenzo D’Amico, Ciccio Graziani ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera. Avevano giocato insieme un anno nel Torino (1980-81), poi si erano affrontati da avversari nel derby di Roma, su sponde opposte ma sempre con grande rispetto.

D'Amico Vincenzo

Si può dire che D’Amico fosse un personaggio amato anche dai romanisti? "Di solito quando un personaggio così muore c’è tanta ipocrisia, nel suo caso le belle parole che tutti hanno usato sono sincere perché era un ragazzo solare".

Come vivevate la rivalità tra Roma e Lazio? "Ci scherzavamo, quando giocava la Roma in coppa gli dicevo che doveva fare il tifo per i giallorossi e lui mi rispondeva: “Ciccio non ce la faccio, è più forte di me”. Ma non è un anti romanista".  Vi conoscevate da una vita. "Lui era un po’ più giovane di me, ma siamo cresciuti insieme. Era un calciatore straordinario, io gli dicevo sempre: “Tu e Rivera siete i due calciatori con maggior talento che mi è capitato di vedere. Rivera ha fatto una carriera straordinaria, tu non sei stato chiamato spesso in Nazionale: fatti una domanda". Il classico genio e sregolatezza? "Se avesse avuto la mia applicazione e il mio carattere avrebbe vinto tre volte il Pallone d’Oro. Era la fantasia al potere: calciava con la stessa naturalezza sia col destro sia col sinistro. Una volta in un derby contro la Juventus mi ha fatto un lancio di 35 metri mettendomi la palla in testa: l’ho dovuta solo spingere dentro". Un difetto? "Era pigro, io cercavo di spronarlo a fare qualcosa, gli dicevo di fare sport ma lui mi rispondeva che non ne aveva voglia". Nei derby è stato sempre un avversario temuto e leale. "C’è questa foto che gira in queste ore sui social, in cui ci sono Vincenzo, il bomber Pruzzo e Ancelotti che scherzano. Era quello il clima giusto: c’era campanilismo ma anche rispetto degli avversari, che spesso erano amici".

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