Il Messaggero| Klose: "Lotito, riportami alla Lazio"
Semplicemente “Mito”. Lo scorso 9 giugno ha compiuto 45 anni, i tifosi biancocelesti lo hanno riabbracciato pochi giorni prima all’Olimpico per festeggiare il derby eterno del 26 maggio 2013, dopo 5 stagioni, 63 gol e 171 presenze - in tutte le competizioni - con la maglia della Lazio. Ha segnato ovunque, fuori dal Raccordo ottenuto il massimo: campione del mondo e capocannoniere della Germania di ogni tempo. Klose, la leggenda, si è ritirato, ora è pronto a tornare in Italia per una nuova avventura da opinionista di Prime Video per le partite di Champions, e ieri lo abbiamo incontrato nella redazione del Messaggero: «Non so ancora come vivrò questa nuova esperienza ma non vedo l’ora di cominciare. Ormai pesco soltanto e gioco a padel. Finalmente rivedrò tante persone che lavorano nel mondo del calcio, riassaporerò l’odore dell’erba del campo, questo mi fa sentire vivo come se il tempo si fermasse di nuovo». Dunque, si è preso un periodo di pausa in panchina, dopo la parentesi all’Altach in Austria. Tornerà ad allenare? «Certo, è il mio futuro. Io voglio allenare e sono sempre alla ricerca di una nuova sfida». Aveva bisbigliato che le sarebbe piaciuto tornare alla Lazio, magari proprio come tecnico. O anche in un altro ruolo? «Non mi vedo come dirigente, sarebbe fantastico invece rivedere Formello da allenatore. Lotito già sa tutto». In che senso? È già arrivata una telefonata? «No, ma ho parlato col presidente in occasione del decennale dalle Coppa Italia e sa bene cosa voglio fare da grande. Io sento dentro di voler guidare i giovani, per permettergli di arrivare in Serie A o in Bundesliga ai massimi livelli. Mi piace tantissimo insegnare quello che ho imparato e farlo a Roma sarebbe un sogno. Io ho casa, la mia famiglia ama la capitale e io la Lazio». Anche i sostenitori biancocelesti la adorano e lo hanno dimostrato da poco. «Non riesco a spiegare in una parola il calore che ho sentito dal primo giorno del mio sbarco né l’affetto che mi mostrano ogni volta che torno in città o allo stadio ricordandomi i derby vinti, il mio gol nel 2011 all’ultimo secondo. Comunque andrà, loro saranno nel mio cuore in eterno». Tare ha detto che dietro il grande campione Miro non c’è però un grande uomo. Cosa è successo davvero nel 2016 al momento del divorzio? «Non voglio fare polemica, ho solo detto che se un club decide di interrompere un rapporto con un giocatore bisogna dirglielo in anticipo e non aspettare l’ultimo giorno come successo con me, Lulic, Mauri, Bizzarri, l’elenco è lungo. Quando a me non è stato comunicato nulla, ho preso io la decisione di smettere di giocare e di togliere il disturbo. Ma ho raccontato la mia storia affinché queste incomprensioni non si ripetano in futuro, affinché cambi il modus operandi della Lazio». Non c’è più il ds adesso. «Ci siamo lasciati male perché non è una persona che dice le cose in faccia, ma io sono obiettivo. Igli ha fatto un grande lavoro, ha portato me e tanti talenti come Felipe Anderson e Milinkovic». A proposito di Sergej, come giudica la sua scelta di andare all’Al-Hilal? «Mi ha un po’ sconvolto. Io ho giocato con lui, lo conosco come giocatore e professionista, era perfetto per la Liga o la Premier, campionati veri che gli avrebbero permesso di disputare la Champions. In carriera è un passo che va compiuto, altrimenti ti rimane il rimorso. Rispetto la sua decisione, ma non la condivido. Era meglio andare ovunque piuttosto che finire nel deserto». Eppure in tanti, non solo quelli al tramonto (vedi l’obiettivo Zielinski), stanno seguendo la sua strada. «Perché ormai conta solo il denaro. Io non ho mai giocato per soldi. Se tu sei un calciatore, già guadagni tantissimo e dovresti pensare ad altro. Per come concepisco io lo sport, si dovrebbe puntare a vincere trofei con la propria squadra, ed è in Europa il calcio che conta. Io decisi di lasciare la Germania per imparare la lingua, per la mia famiglia e i miei bambini, e la Lazio era la soluzione migliore per competere ad alti livelli in un altro torneo importante come la Serie A». Ora servono un sostituto del serbo e altri rinforzi alla Lazio per fare il salto? «Certo, io credo che la Lazio possa fare addirittura meglio del secondo posto e dell’ultima esperienza in Champions, anche se sarà più dura quest’anno. Ora i biancocelesti devono conservare l’ossatura e centrare almeno tre innesti di livello per far crescere l’organico. Non sono però io a dover spiegare alla società come fare il mercato». Si parla di un colpo in attacco da affiancare a Immobile, che possa prenderne poi l’eredità come fece il bomber partenopeo con lei. «E perché? Ciro ha trentatré anni, la stessa età in cui io sono arrivato alla Lazio. Ha ancora 5 anni davanti, anzi Lotito dovrà prolungargli il contratto (ride, ndr). Sento parlare di Amdouni, dicono sia un grande prospetto, ma non c’è ancora uno forte come Ciro. Dunque, non esiste oggi un dopo-Immobile». E pensare che Sarri non ha avuto il capitano per lunghi tratti della scorsa stagione ed è comunque arrivato così in alto. «E infatti ha parlato di “miracolo”. È uno dei migliori allenatori della Serie A, mi piace la sua filosofia e il suo gioco, fatto di passaggi corti e spettacolo. L’ho studiato, mi piacerebbe seguirlo da vicino». Il Napoli ha cambiato allenatore (Garcia), è sempre il favorito per lo scudetto? «I partenopei hanno perso anche Kim oltre Spalletti, e non so cos’altro accadrà. Inter e Milan sono arrivate in fondo in Europa e con merito. Ho seguito tutte, sono stato anche ospite di Pioli, il mio ex mister, che può fare la differenza anche senza Tonali, con Theo e Leao. È presto per fare pronostici. Gli italiani tendono sempre a farli molto prima. A Roma poi quelli dell’altra sponda parlano sempre tanto... ma poi decide sempre il campo. Vedremo, ma la Lazio la vedo ancora ai vertici e spero possa arrivare almeno in semifinale di Champions». Alberto Abbate - Il Messaggero