Lionello Manfredonia
Lionello Manfredonia

Intervistato dal Corriere della Sera, l'ex giocatore biancoceleste Lionello Manfredonia, che vestì la maglia della Lazio dal 1971, iniziando nelle giovanili, fino al 1985, e successivamente quelle di Juventus e Roma, si è raccontato in un'intervista esclusiva. Tra i vari temi affrontati, Manfredonia ha ripercorso il suo passato in biancoceleste, concentrandosi soprattutto sulle controversie che segnarono quegli anni, come lo scandalo delle scommesse che coinvolse lui e i suoi compagni di squadra Cacciatori, Wilson e Giordano, e che poi culminò nel famoso Totonero. Questo scandalo fu il primo grande caso di calcioscommesse a colpire il calcio italiano, coinvolgendo squadre di Serie A e di Serie B nella stagione 1979-1980. L'ex biancoceleste ha condiviso i suoi ricordi dei giorni passati in carcere e ha raccontato diversi aneddoti legati a quel periodo particolarmente delicato della sua carriera. Di seguito l'intervista completa:

Manfredonia
Lionello Manfredonia

Nel 1980 viene coinvolto nello scandalo del calcioscommesse insieme a Giordano, Wilson e Cacciatori. 

Era il momento più importante della mia carriera, stavo volando. Ero titolare nella Lazio, non mi mancava niente. Ma a Roma non è semplice prendere le distanze da certe situazioni ombrose. Commisi l’errore di frequentare un ristorante in cui si scommetteva. Dopo una giocata andata male, i gestori denunciarono tutti, compresi me e i miei compagni che puntavamo sulla vittoria della nostra squadra. Per noi si trattava di una sorta di premio partita, non c’era il divieto di oggi. Potevamo essere accusati di omessa denuncia, ma alla fine la giustizia sportiva ci squalificò per due anni e mezzo

Da lì scoppia lo scandalo totonero. Vengono arrestati giocatori e dirigenti. A 24 anni si ritrova a Regina Coeli.

Ci sono rimasto 12 giorni. Ricordo ancora l’arresto: ero in tribuna a Pescara, la settimana prima ero stato espulso. All’intervallo mi chiamarono un paio di agenti, mi intimarono di seguirli. Mi caricarono sulla volante, quindi il viaggio fino al penitenziario. Quelle scene così plateali, quelle manette scattate in mondovisione, furono un mezzo per nascondere altri scandali che in quel momento stavano scuotendo l’Italia

Che ricordi ha del carcere? 

Un gruppo di detenuti giocava a calcio nel cortile durante l’ora d’aria, spesso ci univamo. Non abbiamo vissuto situazioni violente, eravamo collocati nel braccio degli ozianti, la sezione più tranquilla. Durante la squalifica ne approfittai per tornare a studiare e per laurearmi in legge

Alla Juve condivise lo spogliatoio con Platini.

Fu da subito molto accogliente. Dovevo ambientarmi, era tutto così diverso. A Roma ci allenavamo fino a tardi, ci prendevamo una pausa per andare a mangiare il pesce a Fregene. A Torino c’era più professionalità, dovevi vincere per forza. Michel era simpatico, una volta mi annullarono un gol regolarissimo al Bernabeu, lui sorrise: “Giusto così, Lionello non può segnare al Real Madrid”

Altro che Bernabeu: è vero che le partitelle alla Lazio erano una guerra? 

C’erano due gruppi, tenuti insieme da Maestrelli. L’allenamento non finiva mai fino a quando non vinceva Chinaglia. Un gruppo di pazzi. Il sabato mattina, prima degli allenamenti, Re Cecconi e Martini si andavano a buttare col paracadute

In molti scrissero che lasciò la Lazio per aver litigato con Giordano, una sorta di fratello per lei.

Non andava d’accordo con l’allenatore, Juan Carlos Lorenzo, che mi nominò capitano al posto suo. Non la prese bene, ci siamo scontrati e persi di vista. Eravamo due ragazzi orgogliosi, ci siamo rivisiti solo al funerale di sua madre. Lì capimmo che avevamo fatto una c…

Giordano fu il primo a soccorrerla a Bologna, quando ha rischiato di morire.

Era il 1989, un 30 dicembre. Il compleanno di Morgana. Che segno del destino…Avevo lasciato a malincuore Torino. Boniperti ai trentenni offriva solo contratti annuali e io ne cercavo uno più lungo. Mi accontentò Dino Viola, che mi portò alla Roma. Raggiungemmo Bologna in treno, faceva molto freddo e io ero un po’ influenzato oltre che stressato per la perdita di mia madre, venuta a mancare pochi mesi prima. Dopo qualche minuto ebbi un arresto cardiaco. Per fortuna a bordocampo c’era un’ambulanza con il defibrillatore, una rarità a quei tempi, altrimenti oggi non sarei qui. Restai in coma per tre giorni

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