Curva Nord derby
Depositphotos

Delio Rossi arriva alla Lazio nel 2005, in un momento di transizione per il club. Alla sua prima stagione, conquista la qualificazione in Coppa UEFA. Nella stagione successiva, nonostante un inizio difficile, Rossi guida la Lazio al terzo posto in Serie A, ottenendo l’accesso ai preliminari di Champions League. Il punto più alto della sua esperienza arriva nel 2009, quando vince la Coppa Italia contro la Sampdoria, portando il club a sollevare un trofeo dopo anni di difficoltà. Rossi diventa un idolo per i tifosi, grazie anche alle sue esultanze nei derby e al suo legame speciale con la piazza. Nonostante i successi, Delio Rossi lascia la Lazio nel 2009 per divergenze con la dirigenza. Tuttavia, la sua figura resta nel cuore dei tifosi, che apprezzano non solo i risultati, ma anche il suo carattere e il suo attaccamento al club. L'ex tecnico biancoceleste è intervenuto ai microfoni di Lazio Press per raccontarci i suoi anni da allenatore della prima squadra della Capitale.

Olympia
Foto Proietto

Come ricorda i suoi anni alla Lazio? Quali sono stati i momenti più significativi durante il suo periodo alla guida della squadra?

“Quando sono arrivato alla Lazio, ero un ‘signor nessuno’. Mi trovavo nella squadra importante della Capitale, ma soprattutto dovevo allenare la Lazio, una squadra che, prima dell’era Lotito, sotto la gestione Cragnotti, era una delle più forti al mondo, con i migliori giocatori. Quindi, non è stato facile per la piazza accettare un allenatore senza un grande pedigree. Mi ricordo che c’era molto scetticismo intorno alla squadra, e l’unica cosa che potevo fare era stringere i ranghi con i calciatori e, soprattutto, far parlare il campo. All’inizio, qualsiasi cosa dicessi non veniva presa sul serio. L’obiettivo principale era il risanamento del bilancio. C’erano delle scommesse interne: se le vincevamo, avremmo potuto vendere qualche giocatore e fare altre scommesse. Quella situazione non aveva nulla a che fare con la Lazio che vediamo oggi. Tuttavia, quei quattro anni sono stati intensi e significativi. Mi ero posto due obiettivi principali: il primo, ovviamente, era fare bene l'altro e vincere i derby. Chi dice che il derby è come tutte le altre partite sbaglia. Se vinci il derby di andata, stai tranquillo fino al ritorno; se vinci il ritorno, hai una stagione più serena. Se perdi entrambi, è difficile anche se in campionato te la cavi. Un altro grande traguardo è stata la qualificazione alla Champions League, che non era nei programmi iniziali. Non eravamo abituati a competere su quel livello. E poi c’è stata la vittoria in Coppa Italia, un traguardo che sapevo essere importante e che mi ha dato grande soddisfazione, perché volevo lasciare qualcosa di tangibile in bacheca, come un trofeo. Mi sarebbe piaciuto vincere qualcosa di ancora più grande, ma il percorso fatto con la squadra è stato eccezionale. Abbiamo giocato un buon calcio, anche se a volte, non avendo delle punte vere, non ottenevamo sempre i risultati che avremmo meritato. Con il tempo, la Lazio è diventata la mia seconda casa, e porterò per sempre con me i ricordi di quell’esperienza.”

Quali erano le sue principali priorità e filosofia di gioco quando allenava la Lazio?

“La mia priorità è sempre stata una difesa a 4, e su quella non ho mai cambiato. Per quanto riguarda il centrocampo, potevamo giocare sia con un centrocampo a tre che a due, ma la formazione che mi ha dato maggiore soddisfazione è stata il 4-3-1-2. Spostare Mauri dall’esterno a fare il trequartista è stata una mossa fondamentale, perché lui aveva le capacità di fare la terza punta ma anche di agire da quarto centrocampista. Questo ci dava l’equilibrio che cercavamo. In termini di filosofia di gioco, quello che cerco in ogni squadra è che siano ben organizzate sia con, che senza palla. Ogni giocatore deve sapere come comportarsi in ogni situazione. Fondamentale, poi, è la condizione fisica: tutti vogliono una squadra aggressiva, che si muove su 30 metri, ma per giocare così devi allenarti in quel modo. In linea generale, la squadra che voglio è caratterizzata dalla compattezza e dall’equilibrio. Poi, naturalmente, il sistema di gioco dipende molto dai giocatori che hai a disposizione. Non puoi prescindere da loro: la squadra deve essere adattata alle caratteristiche dei giocatori che hai, non il contrario.”

Ci sono stati giocatori che l’hanno colpita particolarmente durante la sua gestione? Quali erano le loro caratteristiche distintive?
 

“Calciatori che ho avuto durante la mia gestione sono stati tanti. Io sono stato legato anche a quelli che magari hanno reso di meno, perché ho visto che hanno dato qualcosina in più. Non faccio torto a nessuno se dico che ho avuto la fortuna di allenare Peruzzi, che secondo me era un campione. Sugli altri, se faccio un nome, farei un torto ad altri. Con me hanno dato il massimo e per questo li devo ringraziare.”

In che modo la Lazio che allenava era diversa da quella odierna, sia in termini di stile di gioco che di approccio tattico?

“Ma è difficile fare raffronti tra periodi diversi, situazioni diverse, status diverso, squadre diverse. Fermo restando che, se vuoi competere su più fronti, in campionato, in coppa, o in Champions, coppa UEFA o Europa League, devi avere una rosa che sia omogenea, che non ci sia molta differenza tra i titolari e le pseudo riserve e, devo dire che quest’anno, la Lazio è una squadra omogenea. Non c’è molta differenza tra titolari e riserve. Soprattutto hanno tutti i giocatori doppi e questo è importante. Questa è la chiave, che fa sì che il calcio è cambiato in questo senso. Va avanti chi ha i giocatori migliori, ma soprattutto chi ha una rosa migliore.”

Pensa che ci siano giovani talenti che possano emergere come quelli che ha avuto sotto la sua guida?

“Sicuramente la Lazio di oggi ha più qualità. Alcuni giocatori, secondo me, potrebbero diventare veri e propri craque. Ad esempio, il terzino sinistro, anche se non è giovanissimo, ha ancora il potenziale per esserlo. Anche Isaksen, secondo me, è un giocatore che ancora non sa quanto sia bravo. Ha delle qualità che potrebbero renderlo veramente determinante. Mi piace molto Gila, perché ha tutte le caratteristiche del difensore moderno, e anche Rovella. Gli altri, invece, non mi sembrano così giovani da poter essere quelli che, un domani, potrebbero davvero portare la Lazio sulle spalle.”

Lazio-Atalanta: statistiche e bilancio dei match in Serie A
Tchaouna sui social: "Voglio iniziare bene l'anno nuovo"