Il Messaggero | Guendouzi: "Mi ha voluto Sarri. Sono nato leader e vi conquisterò"
Un diavolo per capello già in testa. Senza quel cespuglio sarebbe un pescatore sprovvisto della migliore esca, un calciatore senza palla: «Non me li taglierei neanche se vincessi la Coppa del mondo con la Francia», giura Matteo Guendouzi al Messaggero, con gli occhi spiritati che sorridono, tra una carezza e l'altra alla sua folta chioma. Forse quella specie di medusa è anche una forma di protesta di uno affamato dalla nascita: «Sin da bambino sono uno che vuole vincere a tutti i costi, che sia in partita, in allenamento, a ping pong oppure a carte. Per questo posso avere delle reazioni forti, decise. Io voglio essere sempre il migliore e sono venuto alla Lazio con l'idea di mettere tanti trofei in bacheca». Di fronte a così tanta smania, toglietevi voi la parrucca. A settembre ha già scapigliato i laziali al suo arrivo a Ciampino dopo una lunga attesa.
«È vero, alla fine ci sono voluti un po' di giorni per definire tutto fra i club, e fra me e il Marsiglia, ma io nella mia testa avevo solo la Lazio. Ero tranquillo, avevo la certezza che sarei sbarcato da un momento all'altro e nulla me lo avrebbe impedito. Mi volevano pure in Premier, ma io avevo già scelto un progetto serio, un club che ha vinto tanto in passato in Italia e in Europa, e ora con la Champions vuole crescere ancora».
E poi come non farsi trascinare da Roma, dalla grande bellezza. «Con mia moglie e mia figlia abbiamo fatto già delle lunghe passeggiate, è fantastico il calore dei tifosi e di questa città». Sarri invece non è un espansivo, ha inciso sulla sua firma? «Sì, mi voleva e mi ha chiamato per dirmi come mi avrebbe fatto crescere ancora. Era fine luglio e io ero già allettato dall'idea di sbarcare in Serie A. Poi avevo già giocato 4 volte contro il tecnico in Inghilterra. Un'amichevole, due gare di campionato, la finale di Europa League. Mi aveva stregato la sua filosofia offensiva, in cui un centrocampista ha anche una certa libertà. Ora devo assimilare ancora molti schemi nuovi, ma lui ha la mia mentalità, vincente». A proposito di allenatori: non è andata bene con Landreau e Arteta. «Ma non è vero, ho giocato anche con loro, ma poi hanno preso altre strade. Il mio carattere mi ha permesso di diventare calciatore, di essere qui e di conquistare la Francia. Ora sono pure un po' cambiato, ho appreso dagli errori di gioventù. Sono meno istintivo, più uomo, un padre di famiglia». Il veleno è nel Dna o è stato iniettato dalla vita? «Ho praticato diversi sport, anche individuali. Come il karate, dove sei solo contro il tuo avversario. Poi parallelamente ho cominciato a giocare a calcio e me lo sono divorato. Pranzo col calcio, dormo col calcio, è tutta la mia vita» A settembre c'era una folla ad aspettarla, una bolgia. «Come a Marsiglia, più che all'Arsenal. Restituirò con gli interessi quell'accoglienza». Un vecchio resoconto in Francia parla di un bambino, a Poissy, il suo paese, che era già un leader. «Ma no (ride, ndr). È vero però che sin da bambino sono stato sempre il capitano della squadra. È una questione di personalità, mi è sempre piaciuto essere al centro, parlare molto con i compagni, nello spogliatoio. Mi piace dire le cose in faccia, quando si va bene o quando si va male». Psg, Lorient e poi Arsenal. Ma è noto che Matteo è tifosissimo dei Gunners. Come mai? «In Francia l'Arsenal è molto popolare, perché vi hanno giocato molti francesi: Pires, Henrym, e Wenger in panchina». È ancora la sua squadra del cuore? «Da piccolo sì. E quando c'è stata la possibilità di trasferirmi, non ho avuto dubbi, anche se avevo altre opzioni. Emery ha fatto di tutto per avermi». Lei è nato nel 1998, nella Francia campione del mondo. E lei ha vestito la maglia della Nazionale. «Era il mio sogno. Quando sono stato convocato, è stato il massimo, mi ha ripagato di tutti i sacrifici fatti da ragazzo. È bello rendere fiera la tua famiglia che ti vede in Bleus. Sono orgoglioso di questo. Ora sono sei mesi che non vengo convocato, dopo essere stato al Mondiale». Quindi ora l'obiettivo è di rientrare per l'Europeo in Germania. «Certo. Andare in Qatar è stato un grande traguardo. So che devo lavorare duro per andare in Germania la prossima estate. So che Deschamps mi segue, è dai 19 anni che faccio parte del giro. Devo giocare e giocare bene, per tornarci». I tifosi della Lazio l'hanno conosciuta a Napoli: palla all'incrocio, gol pazzesco, poi annullato. Che cosa ha pensato in quegli istanti? «Veramente non ho ancora capito perché mi sia stato annullato... Per me era rete, poche storie. Ma ora le regole col Var sono diventate più complicate, mi pare, o anche differenti tra paese e paese». Ma per tutti quello è un gol valido, meraviglioso con la sua esultanza col brivido. «Mi ha fatto piacere, ho sentito subito un grande sostegno. Per questo ho voglia di rendere fieri i tifosi, di segnare, di fare assist, di aiutare la squadra. E ovviamente di vincere dei trofei con la Lazio». Ha preso la maglia numero 8 di un idolo come Gascoigne. «Sì, lo so. Ma sin da ragazzo ho avuto sempre il 6 o l'8. Se c'è la possibilità prendo sempre uno di questi, mi stanno a cuore». Come fa a correre e a giocare con tutti quei capelli? «Io ci vedo molto bene. Sin da ragazzo ho sempre avuto questa chioma... È una parte di me. All'Arsenal ho giocato insieme con David Luiz, era divertente, spesso non ci distinguevano». Non si ti taglierebbe la chioma nemmeno per scommessa dopo una vittoria al Mondiale? «Assolutamente no, non se ne parla».