CorSera | Acerbi: "Sono molto dispiaciuto per Juan Jesus. Razzismo? Gestire la malattia in confronto è nulla..."
Acerbi è tornato a parlare dopo la decisione del Giudice Sportivo sulle accuse di razzismo
Francesco Acerbi ha parlato ai microfoni del Corriere della Sera per tentare di mettere un punto definitivo al polverone mediatico scaturito dopo le accuse di razzismo da parte di Juan Jesus e l'assoluzione da parte del Giudice Sportivo.
Di seguito un estratto delle parole del difensore nerazzurro nella sua intervista al Corriere della Sera:
- Come si sente dopo l'assoluzione del Giudice Sportivo?
- Perché ha parlato solo ora?
- Il razzismo però è una piaga e il calcio viene accusato di non fare abbastanza per combatterlo.
- Se non è lotta al razzismo, allora cos’è?
- È stato più complicato gestire questa vicenda rispetto alla malattia?
- Ha pensato al futuro della sua carriera dopo la vicenda?
- È contento che ricominciano le gare?
Come si sente dopo l'assoluzione del Giudice Sportivo?
“Sono triste e dispiaciuto: è una vicenda in cui abbiamo perso tutti. Quando sono stato assolto, ho visto le persone attorno a me reagire come se fossi uscito dopo dieci anni di galera, molto contente di essere venute fuori da una situazione del genere: sono state giornate molto pesanti.”
Perché ha parlato solo ora?
«Perché avevo fiducia nella giustizia e non volevo rischiare di alimentare un polverone che era già enorme. Adesso che c’è una sentenza, vorrei dire la mia, senza avere assolutamente nulla contro Juan Jesus, anzi è il contrario perché sono molto dispiaciuto anche per lui. Ma non si può dare del razzista a una persona per una parola malintesa nella concitazione del gioco. E non si può continuare a farlo anche dopo che sono stato assolto»
Il razzismo però è una piaga e il calcio viene accusato di non fare abbastanza per combatterlo.
«Ma questa non è lotta contro il razzismo, non c’è stato nessun razzismo in campo e io non sono una persona razzista: il mio idolo era George Weah e quando mi fu trovato il tumore ricevetti una telefonata a sorpresa da lui che ancora oggi mi emoziona».
Se non è lotta al razzismo, allora cos’è?
«Si sta solo umiliando una persona, massacrando e minacciando la sua famiglia, ma per che cosa? Per una cosa che era finita in campo e nella quale il razzismo non c’entra nulla. Il razzismo purtroppo è una cosa seria, non un presunto insulto».
È stato più complicato gestire questa vicenda rispetto alla malattia?
«Non c’è paragone, quella in confronto è stata una passeggiata, non ho avuto paura. Invece l’accanimento atroce che ho visto nei miei confronti in questi giorni mi ha ferito. Ho fatto tanto per togliermi l’etichetta che avevo quando ero più giovane e diventare un esempio di costanza e professionalità e ho rischiato di perdere tutto in un attimo».
Ha pensato al futuro della sua carriera dopo la vicenda?
«Se ti danno dieci giornate e passi per razzista cosa fai? Poteva succedere qualunque cosa: sarei stato finito non come calciatore, che mi interessa fino a un certo punto, ma come uomo. Tutti avevano già emesso la sentenza prima ancora che uscisse. E per tanti sono razzista anche adesso: sinceramente non ci sto, le gogne mediatiche non vanno bene e soprattutto non servono per risolvere un problema come quello del razzismo che sicuramente esiste. E che non intendo sminuire nemmeno un po’: voglio che sia chiaro».
È contento che ricominciano le gare?
«Sì, ma soprattutto sono contento di giocare. Se e quando arriverà lo scudetto della seconda stella, potrò esserci. A testa alta, intendo».