Cataldi: “Radu una persona che mi ha dato tanto, Luka Romero arriverà ad alti livelli. In futuro vorrei…”
Danilo Cataldi è il secondo protagonista a parlare al settimanale Lazio Style Summer. Il centrocampista biancoceleste si è raccontato in tutto e per tutto, reprimendosi anche in merito all’andamento della passata stagione per poi proiettarsi su quella che verrà. Queste le sue parole: “Titolare dopo tanta gavetta? È tutto relativo, per me essere titolare non vuol dire giocare tutte le partite ma essere un calciatore importante che può dare una mano dentro e fuori dal campo. Personalmente sento di avere l'età giusta per diventare una persona importante, un riferimento, all'interno dello spogliatoio". “Una foto della stagione ? Ne dico una brutta: solitamente collego immagini a cose negative per migliorare, come ad esempio il derby perso nel girone di ritorno. Mi dà la voglia di fare qualcosa in più e di diverso per cambiare, una motivazione in più per non ripetere gli errori fatti e trasformare un evento negativo in positivo. Se devo invece scegliere un momento bello, dico il derby di andata, che abbiamo vinto forse con un'idea tattica diversa del mister. Mi sono piaciute però anche le ultime partite del campionato, dove abbiamo vinto spesso dominando". "Non ho avuto un idolo di riferimento preciso, vedevo, come ora, tantissime partite. Quando ero piccolo, la Lazio era una delle squadre più forti al mondo. Mi piaceva tanto vedere Zidane per la sua eleganza, era bello vederlo giocare. Cito poi Veron: incarnava il momento di quella Lazio, con i numerosi aneddoti che narravano di una squadra con diversi gruppetti fuori ma unita in campo. Juan è stato uno dei più rappresentativi di quegli anni". "Vengo da una famiglia umile, mio padre trasportava le bibite, lavorava dal lunedì al sabato alzandosi alle 4 di mattina. Ricordo che la domenica mi accompagnava alle mie partite la mattina presto. Quando non c'era, toccava a mia madre. Mio padre lo faceva con passione, sono quei sacrifici che un figlio apprezza con il tempo. Mi hanno insegnato il valore delle cose. Per mio padre poi gioco sempre bene (ride, ndr)". “La prima allo stadio? Non mi vorrei sbagliare, però andai a vedere il derby dello scudetto, quello del marzo del 2000, deciso proprio da Veron. Non ricordo se fu la prima volta in assoluto, ma sicuramente ero allo stadio quel giorno. Partita perfetta? Ne ho molte, c'è ad esempio la mia prima da titolare con la Lazio in campionato contro il Milan, che coincideva con il ritorno della maglia bandiera e dove vincemmo 3-1. Fu una delle giornate più belle. Però ovviamente il gol nel derby vinto 3-0 non si batte, è quella la gara più bella in assoluto". "Il numero di maglia non lo cambio più. A Crotone presi il 28, senza un motivo in particolare, che mi portò bene. Tornato alla Lazio, questo numero però era occupato. Così il fisioterapista Papola mi suggerì di prendere il 32. C'è tipo una setta con questo numero, lui essendo molto amico di Brocchi, che lo aveva indossato, mi disse di sceglierlo e da lì non l'ho più lasciato. Maglie di compagni e avversari? Non sono un collezionista, ad inizio carriera le scambiavo solo con chi conoscevo, con chi avevo condiviso qualcosa. Non mi andava di disturbare giocatori importanti contro cui avevo giocato, scambiare la maglia per me deve essere un piacere". "Ho pianto come un bambino quando sono andato via da casa , è una cosa che ti segna. Dal giorno dopo però le cose sono andate meglio, anche perché quello era un gruppo giovane dove mi sono subito integrato. Addio alla Lazio? Fu dura lasciare la Lazio, però poi penso che se non avessi fatto queste esperienze poi non sarei cresciuto. A Genova fu difficile, mentre a Benevento fu un'avventura formativa. Partimmo malissimo, ma nella sfortuna di tutto questo incontrai De Zerbi: il mister mi ha cambiato la mentalità. Quindi alla fine fu un'esperienza formativa". "Comprai una macchina a mio padre ed una a me, visto che non l'avevo: era una Fiat 500. Sport? Sono un malato di tennis, anzi di Federer. So tutto di lui, ora purtroppo è infortunato. Non sono mai riuscito a farmi una foto, l'ho visto dal vivo a Roma ogni volta che ha giocato. Quando giocava dall'altra parte del mondo, mettevo la sveglia per seguirlo. Dal 2006 seguo ogni suo torneo: è l'unico atleta che preferisco vedere al posto di una partita di calcio". “Con chi vorrei uscire a cena? Federer. Mi piacerebbe sapere che tipo di vita conduce, come gestisce allenamenti e vita quotidiana, come si rapporta a tutto. Ha 4 figli: per meriti sportivi ha ottenuto tutto dalla vita, gioca da più di 20 anni. Mi chiedo ad esempio come facciano i figli a cambiare spesso scuola. Io ad esempio conosco le stesse persone conosciute sui banchi, mentre magari i suoi figli vivono su un aereo. Cristiano Ronaldo ad esempio ha detto di non poter andare al parco giochi con i figli, una cosa alla quale io non potrei mai rinunciare. Vorrei anche capire se accontentano i figli sotto ogni aspetto perché hanno possibilità o se glielo fanno guadagnare con il sacrificio, come è capitato a me. Io ad esempio a mio figlio darei tutto, ma non so se sia la cosa giusta da fare". “Amo Roma. Non riesco a staccarmi, mi piace anche il traffico. Per me è la normalità, odio solo il traffico sul Raccordo, mentre farlo dentro la città mi piace. Infatti non capisco mai i compagni che si lamentano. Se devo scegliere una zona dico Fori Imperiali, dove si respira la storia. Coppia? Siamo una coppia tranquilla, normale. Siamo diversi e simili in alcune cose, però abbiamo il nostro equilibrio. Ci conosciamo dalla prima media, abitavamo a 400 metri di distanza. Ci siamo frequentati a scuola, poi ci siamo persi di vista ed infine rivisti. Un tira e molla insomma". Un figlio ti cambia la vita. Te la cambia per le responsabilità: nel quotidiano relativamente però, perché siamo una coppia che fa cose tranquille. C'è un'attenzione diversa, ti porta via tanto tempo ma per fortuna riusciamo a ritagliarci anche momenti per stare insieme come coppia. Abbiamo anche i nostri genitori che ci aiutano. Cambiare un pannolino? Sono un mago, è molto più difficile arrivare in Serie A. Numero perfetto di figli? 2, maschio e femmina. Spero che mia moglie si convinca, vediamo". “Per me la felicità non può esserci in ogni momento, la vedo come una cosa raggiunta in un momento preciso. La serenità è uno status, io lo sono ad esempio in famiglia ed in campo. La felicità però è un momento". Ho tanti tatuaggi . Il primo fu una tigre dietro la schiena, lo feci senza un significato in particolare. Mi piacciono molto, ma alcuni non li rifarei ora, con una testa più matura. Forse li avrei fatti meno appariscenti ma più ragionati". “Se credo nell’amicizia? Sì, perché no? Sicuramente è difficile, io ad esempio essendo di Roma ho vecchie compagnie che ancora frequento perché non mi sono mai spostato. Credo nell'amicizia perché a volte passiamo più tempo nello spogliatoio che a casa. Alla fine siamo persone normali che condividono insieme dei momenti tutti i giorni e che parlano anche di cose private". "Il mio primo anno di Lazio, un tifoso si tatuò un mio ritratto sulla coscia. Spero che non lo abbia cancellato quando sono andato via (ride, ndr)". "Luka Romero: è un ragazzo con la testa sulle spalle, arriverà ad alti livelli. Spero per lui che quest'anno possa giocare tanto. Al di là del calciatore, è un bravo ragazzo, giovane ma grande di testa. Ha già la cultura del lavoro". "Ho sempre avuto la passione di andare per boschi, con i sacchi a pelo e dormire in mezzo alla natura, all'avventura. Mi piacerebbe farmi qualche giorno così, ho degli amici che lo fanno ma ovviamente non riesco mai ad incastrare gli impegni, soprattutto quando hai figli. Per il resto amo molto stare a casa, nella mia quotidianità sto molto bene". "Penso che proverò a rimanere nel mondo del calcio perché mi piace, è difficile staccare quando hai dedicato tutta la vita a questo, almeno per me. Ora non ci penso però credo che qualcosa farò". "Ogni giorno no, però Radu lo sento almeno una volta a settimana. Il Boss fa parte di quelle persone che mi hanno dato tanto, quindi è automatico che si crei questo rapporto". "Tante cose, le direi però al Danilo dopo il primo anno di Lazio. Ci furono dei momenti bui, gli avrei detto qualcosa per non farsi abbassare l'autostima, però non far venire meno tutto. Perché quando hai qualche problema personale, te lo porti in campo. Probabilmente quindi cambierei qualcosa di quel secondo anno, che fu deludente dall'inizio alla fine". "A mio figlio direi intanto di divertirsi, perché ormai sembra che siano diventati tutti tecnici. Secondo me da bambini bisogna solo pensare a divertirsi, per il resto c'è tempo. Da bambino giocavo ovunque e nessuno mi diceva come fare una diagonale, ad esempio. Poi alla fine tutto questo ti manca: per me giocare a calcio è prima di tutto una passione, mi diverto. Però ti manca giocare magare con gli amici al parco, giochi per questo. Poi diventa una cosa più grande ed ovviamente si spostano le attenzioni. Ad esempio vorrei spesso giocare con mio figlio ed i suoi amichetti, ma ho paura di farmi male e quindi non lo faccio". "Quando hai una famiglia, pensi ai figli ovviamente. Quindi spero che mio figlio stia bene ed abbia possibilità di fare quello che vuole. A livello sportivo non so, ho un mio sogno nel cassetto ma è complicato. Vediamo, il calcio è strano e non si sa mai cosa può accadere".