Luca Pellegrini a 'Il Tempo' spiega i segreti della sua squadra: "Lazio amore mio"
Il 26 maggio ero un raccattapalle. Il mister è stato bravo, è una persona molto intelligente e molto empatica
Quante differenze ci sono tra l’idea di calcio di Baroni e quella di Sarri?
«È totalmente un’altra squadra. Non voglio schierarmi né da una parte né dall’altra. Sarri mi ha insegnato tanto, però è cambiata drasticamente. Lo si vede anche dai risultati. Non è più possibile che lo stesso giocatore faccia tre partite da 90 minuti in una settimana, o almeno non gli stessi undici, mantenendo la stessa intensità sia fisica che mentale».
Obiettivo personale a breve e a lungo termine?
«Quando hai davanti un giocatore come Tavares, che penso al momento sia il miglior terzino d’Europa per rendimento, e non parlo di statistiche. Non ha rivali. È normale che uno deve anche guardare il dato oggettivo e mettersi nei panni dell’allenatore. Quello che posso fare io è rimanere concentrato su di me, allenarmi al massimo e farmi trovare sempre pronto quando vengo chiamato in causa».
Però in questi 12 mesi è cambiato anche il sentimento all’interno dello spogliatoio...
«Innanzitutto vincere aiuta a vincere, questo me l’hanno insegnato alla Juve. La cosa che non deve mancare è la fame, come quando ho fatto quella scivolata col Porto. Bisogna lottare su ogni pallone, quell’atteggiamento lì in questo gruppo vedo che sta crescendo nel modo giusto».
Quanto ti giri verso il compagno vedo la stessa fame negli occhi?
«Io muoio per te, tu muori per me. L’esempio è Pedrito che nelle ultime partite ha corso come un ragazzino di vent’anni».
L’emozione di giocare contro Nesta e il ricordo di un simbolo come Mihajlovic?
«È difficile parlare di uno come Nesta, lo stesso dico di Mihajlovic. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo, si vede quando una persona ha uno spessore umano. Un’icona come lui non manca solo al calcio, ma al mondo intero. Servirebbero più Sinisa in questo mondo».
Il sentimento di vestire la maglia della Lazio per la prima volta?
«Cresce giorno dopo giorno, non ti abitui mai. La Lazio non è una cosa personale. La Lazio è mia ma anche di altre centinaia di migliaia di persone. Più condividi più è esponenziale, dai tifosi ma anche ai compagni quando stai dentro al campo».
A proposito, come ha fatto Rovella a diventare così laziale in poco tempo?
«L’entusiasmo che ti porta una piazza del genere è tanto. Lui ci si è calato dentro subito. Un po’ di merito è anche mio: i primi giorni che è venuto a Roma stavamo sempre insieme, gli ho fatto anche da Cicerone. Abbiamo fatto un po’ di scuola di tifo: gli ho fatto vedere i video delle partite che sono entrate nella storia della Lazio. Ma lui non solo con me, anche con altre persone che ha conosciuto gli è cresciuta questa passione che a volte meraviglia anche me. È diventato un Ultras in campo».
Che cosa rappresenta per lei giocare il derby con la maglia giusta?
«Io l’ho vissuto sia da una parte che dall’altra e l’ho vissuto ancora prima quando nemmeno giocavo. Senza voler togliere nulla all’altra parte, viverlo con questa maglia è totalmente un’altra cosa a livello emotivo. Prima e durante c’è questa aria di tensione, poi scarichi tutta l’adrenalina che si era accumulata durante la settimana. Io vado controcorrente e dico di non caricare troppo i giovani e di viverla con un po’ più di leggerezza, anche per il gruppo che siamo adesso. Fino a questo momento è stata questa la nostra forza. Poi il mister sarà ancor più bravo di me a prepararla».
Dove era il 26 maggio 2013?
«Io ero uno dei raccattapalle. In quella partita c’erano sia i ragazzi del settore giovanile della Lazio che della Roma: anche i nostri spogliatoi erano divisi».